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Claudia Cardinale in 8 ½ (Webphoto)
"Ho scritto un libro in cui mi sembrava tutto epico, ma mi sembra di averlo scritto da lettore, da spettatore di provincia, perché quella distanza col mito del cinema io non l'ho mai colmata. Quando sono arrivato a Roma è morto Fellini, ed è stato il segno di un'epica, di una distanza siderale. Per me, infatti, esiste ancora, sempre il lettore e lo spettatore in una percentuale più alta dello scrittore”.
Francesco Piccolo presenta, così, La bella confusione (Einaudi, 2023, pp. 245) il racconto tra autobiografia e storia del cinema, tra indagine sociologica e retroscena della rivalità tra Federico Fellini e Luchino Visconti che ruota intorno ai loro due film manifesto: “8 ½ porta con sé un’aria di libertà, di spensieratezza, contro ili rigore storico, la severità de Il gattopardo. Questa rivalità, però, fonda anche una totale diversità di cinema: 8 ½ e Il gattopardo sono i film più lontani che possano esistere, ma alla fine riempiono i due mezzi insiemi della creatività”.
Anche Nicola Lagioia, intervenuto nella presentazione del 28 febbraio alla libreria Spazio Sette di Roma, ne è convinto: “Francesco Piccolo ha scritto un'epica, in queste pagine c’è chi fa Ettore e chi fa Achille. È un’epica fondata non su una guerra vera, ma sulla possibilità di generare dei sogni, di cerare di incontrare e capire sé stessi. Fellini e Visconti attraverso questi film arrivano a capire meglio chi sono. Burt Lancaster, ad esempio, capisce che Il gattopardo è anche un film su Visconti, che il principe di Salina è Visconti: è la storia di un aristocratico che vede un mondo crollare esattamente come era successo quando era bambino. Nel secolo di Freud, delle certezze che crollano di fronte a delle rivelazioni inaspettate”.
Un libro, sottolinea l’autore, dalla genesi sorprendente: “questa storia me l'ha fatta entrare in testa Claudia Cardinale mentre aspettavamo le prove di Sanremo 2014 al teatro Ariston, cui lei era stata invitata. Mi ha raccontato del fatto che i due film fossero stati girati negli stessi anni, cosa che io non ricordavo. Così ogni tanto chiedevo ad amici registi se ricordavano che fossero contemporanei, ma non lo ricordava nessuno. Oltretutto erano contemporanei anche La strada e Senso, Rocco e i suoi fratelli e La dolce vita. E anche altri film che verranno dopo saranno girati negli stessi mesi. Fellini e Visconti non si parlavano mai, non si vedevano mai, ma Visconti con Ossessione aveva fondato l'idea di cinema su cui Fellini si erano formato”.
Ma il libro non si ferma solo alla rivalità personale: “Scrivendo mi sono reso conto che era anche un film sull'Italia, sugli italiani. Entrando dentro la materia ho preso consapevolezza che riguardava il Paese, la cultura, la politica, la società. Nel 1954 erano due registi in cerca di affermazione: Senso doveva essere l'affermazione definitiva per il regista meneghino che aspirava al Leone d'Oro a Venezia. C’erano cinque giurati italiani, invitati appositamente per far vincere un regista italiano. Il governo assolutamente non voleva che Senso vincesse a Venezia, perché non deve vincere un comunista. Gli anni Cinquanta e Sessanta erano un’epoca in cui i libri, i film erano al centro delle questioni del paese, il”.
“Scrivere di Fellini e Visconti, di Claudia Cardinale e Sandra Milo, di Suso Cecchi d’Amico e di Flaiano è stata la cosa più eccitante del mondo, perché ho dovuto scrivere di persone reali, di cose vere in un mondo in cui le cose vere, soprattutto pensando a Fellini, sono sempre discutibili; anche se in questo libro cerco di dire che bisogna credere a Fellini”.
Per scrivere, Piccolo si è reinventato topo da biblioteca: “Sono andato a cercare di tutto, anche i documenti, anche i giornali scandalistici dell'epoca. Fellini veniva da La dolce vita e Visconti da Rocco e i suoi fratelli, per il Paese i loro film erano un evento gigantesco, anche se oggi non sarebbero fatti così centrali. Ma allora tutti volevano sapere che film avrebbero fatto, perché tutti sapevano della loro rivalità. Fellini era veramente pieno di grandezza anche un po' inconsapevole. Ma 8 ½ è un film che non si può fare se uno è consapevole, se la totale coscienza di ciò che fa. Visconti, invece, nel privato era virilissimo, violentissimo, durissimo, ma lo faceva anche per nascondere la propria omosessualità per le questioni del tempo. Sul set era un metronomo, era molto metodico, non voleva sentire una parola da nessuno della troupe, Fellini, invece, lavorava solo in mezzo al casino, invitava amici sul set, voleva che la troupe parlasse perché lì dentro sentiva la creatività. Eppure dentro questa volontà di cercare di fare solo cose che aveva già deciso, anche Visconti è stato anche sorpreso da sé stesso”.
Discordanze, ma anche inaspettate similarità, sottolinea Lagioia: “la loro dimensione emotiva comune è forse nulla alla capacità di frullare, inghiottire e poi digerire chi gli sta accanto”.
Non solo registi, ma anche le dive, simbolo dei due film, al centro del racconto: “Sandra Milo e Claudia Cardinale sono diventate così consapevoli di questi film mitici, che ora li considerano totalmente lontani, ora vogliono vivere al presente. Per cui, hanno imparato a memoria cose da dire sul film e le ripetono a chiunque.”
“Ho scritto un libro con i pensieri del momento come venivano percepititi da Fellini, Visconti, Suso Cecchi d’Amico, Flaiano, Mastroianni in quel momento. Senz'altro erano tempi meravigliosi per il fatto che tutti discutevano di cinema, di letteratura: ministri, politici e tutti gli intellettuali; d’altra parte quella violenza, quell'imposizione molto ottusa, quell’egemonia culturale radicale era un freno. Non direi che fosse un'età dell'oro perché c'era un partito che demonizzava un certo tipo di registi: L'ora di Palermo titolò Vittorini rifiutò il Gattopardo, perché era un fatto enorme, eclatante. La cosa strana che mi ha fatto anche molta paura fare letteratura su un fatto culturale, mi ha preoccupato molto”.
La bella confusione, però, è anche nel fatto che “nessuno era ancora consapevole di ciò che percepiamo ancora. 8 ½ e Il gattopardo non erano grandi film, Fellini e Visconti mentre li facevano non ne erano consapevoli, però la grandezza che ne è derivata dopo era già presente in quel momento”.
Come sempre per Piccolo scrivere di altri, significa anche scrivere di sé stesso: “Da ragazzo avevo il mito del film di Fellini, ma in realtà quello più doloroso e vicino riguardava la persona che cerco di seguire nello scrivere: ovvero Ennio Flaiano, perciò l'idea di poter parlare di lui è stata molto significativa. Perché era il personaggio che amo di più; nell’immaginario collettivo è diventato una specie di cinico che fa aforismi divertenti ma in realtà conviveva con un grande dolore. Per me che ho sempre tenuto molto al mestiere di sceneggiatore raccontare Flaiano e Suso Cecchi D’Amico significava confrontarsi con dei miti assoluti. Anche se Flaiano diceva di aver sofferto di aver fatto lo sceneggiatore, perché il cinema ha tolto spazio alla letteratura, ma in realtà ha scritto tutti i libri che avrebbe voluto scrivere”.