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Eugène Green, Premio Robert Bresson Speciale
“Per l’incessante e coerente ricerca di una forma cinematografica autentica, rispettosa della verità dell’uomo e delle cose. Un’ideale tensione al Bello, figlia di un’idea metafisica della settima arte: il cinema per lui è parola fatta immagine”.
Con questa motivazione è stato assegnato questa mattina ad Eugène Green il Premio Robert Bresson Speciale per ricordare i venticinque anni della morte del regista di Au Hasard Balthazar e dell’istituzione del riconoscimento a lui intitolato.
Una doppia ricorrenza che la Fondazione Ente dello Spettacolo, promotrice del premio insieme al Dicastero per la Cultura e l'Educazione e al Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, ha celebrato nel paese che ha dato i natali al maestro, la Francia, presso l'Italian Pavilion nella cornice del 77mo Festival di Cannes.
“L’Ente dello Spettacolo è espressione della Chiesa italiana nel cinema, questa cosa ci onora e ci dà grande responsabilità. Ringraziamo l’Italian Pavilion che ci accoglie a Cannes, per questa iniziativa che è solitamente veneziana”, dice mons. Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e direttore della Rivista del Cinematografo.
“Questo nostro sconfinamento nasce sì dal desiderio di essere in questo grande Festival, soprattutto ci piaceva essere in Francia per celebrare questo premio straordinario, in occasione di questo anniversario abbiamo voluto marcare questa straordinarietà, doppio anniversario, quello dei 25 anni dalla morte di Bresson e i 25 anni dalla nascita di questo riconoscimento”, dice ancora Milani, che aggiunge: “Il Premio Bresson nasce proprio in seguito alla morte del grande cineasta francese. Un riconoscimento a quel regista che sa scavare l'umano per trovare la possibilità della speranza, della comunione, della bellezza. Non è un premio religioso, cristiano, è un premio cattolico, nel senso etimologico del termine, che sa abbracciare il mondo, l'universale, non un'identità precisa, escludente. E per l’occasione abbiamo fatto un passo indietro e abbiamo chiesto di identificare il premiato alla signora Mylène Bresson, la vedova del regista, custode della sua eredità, della sua memoria, dei suoi affetti. Siamo felici della scelta che ha fatto, perché è una scelta nella quale ci ritroviamo”, conclude Milani.
Un riconoscimento reso ancora più significativo dunque dal forte desiderio della moglie del regista a cui è intitolato il premio, Mylène Bresson, di conferire questo premio proprio a Eugène Green, un cineasta che attraverso le sue opere ha dimostrato di aver colto il lascito artistico e spirituale di Robert Bresson, portando avanti la sua eredità attraverso valori come originalità, rigore, controllo attento di mezzi, intensità e integrità espressiva, coerenza, capacità di misurarsi con temi “alti” in modi personali, creativi, proponendo, nella sua opera, una ricerca anzitutto sul “vivere”.
"I suoi film testimoniano del difficile cammino di senso e della spiritualità nella nostra vita. L'essere stato influenzato da Bresson non gli ha comunque impedito di trovare una propria chiave espressiva nel suo cinema”, ha scritto Mylène Bresson (non presente per motivi di salute) in un messaggio letto durante la cerimonia di premiazione.
Oltre al doppio anniversario di cui abbiamo parlato sopra, quest’anno ricorrono anche i 25 anni dall’esordio alla regia di Green, con Toutes les nuits: “Un'avventura molto bella, questi 25 anni sono passati molto rapidamente. Il cinema era un sogno di gioventù e quando avevo 20 anni volevo farlo ma non sapevo come arrivarci. All'epoca c'era la scuola nazionale di cinema a Parigi, ma era molto politica la selezione, il concorso era quasi marxista-leninista e ho rinunciato a tentare quella strada. Facevo teatro, altre cose, poi superati i 40 anni avevo il progetto di fare un romanzo ispirato ad un'opera di gioventù di Flaubert, pubblicata postuma solamente nel Novecento. E invece ho deciso di farne un film, senza aver studiato particolarmente il modo di fare cinema, ne scrissi la sceneggiatura e ho avuto fortuna per l'inizio di questo percorso, un inizio quasi miracoloso. Tutte le tappe del mio percorso sono stati quasi dei miracoli, segnando anche così il rapporto tra il mio cinema e la spiritualità”, dice Eugène Green, che a proposito del rapporto con Bresson aggiunge: “Non avendo iniziato da giovane a fare cinema ho avuto il tempo per pensare a quale dovrebbe essere la qualità essenziale del cinema. Per questo il riferimento a Bresson era prezioso, regista che aveva capito che il cinema utilizza il mondo cosiddetto reale come materia bruta, ma il cineasta ha la possibilità di fare apparire in questi frammenti di realtà un'energia spirituale, un mondo invisibile nelle cose di superficie. Gli aspetti formali del mio linguaggio cinematografico sono pensati per rendere possibile questa operazione quasi alchemica, una cosa nello stesso tempo molto precisa, tecnica, e miracolosa. Tutti gli elementi particolari del mio linguaggio hanno questo scopo”.
Nato nel 1947 a New York, Eugène Green si trasferisce nel 1969 a Parigi, dove nel 1977 fonda il Théâtre de la Sapience, un progetto volto alla riscoperta e alla rinascita dell'arte barocca dal punto di vista teatrale e musicale. Ha esordito come regista con Toutes les nuits, Prix Delluc per la miglior opera prima nel 2001. Ha poi diretto Le nom du feu, presentato a Locarno nel 2002 mentre con Le monde vivant ha partecipato nello stesso anno alla Quinzaine des réalisateurs.
Nel 2004 realizza Le pont des arts. Con Correspondances si è aggiudicato nel 2007, insieme a Harun Farocki e Pedro Costa, il premio speciale della giuria a Locarno, dove è tornato in concorso nel 2009 con A religiosa portuguesa e nel 2014 con La sapienza, girato tra la Svizzera e l'Italia.
Nel 2011 il Torino Film Festival gli ha dedicato una retrospettiva e ha poi in seguito proseguito a programmare diversi suoi film, come il doc girato nei Paesi Baschi Faire la parole (2015), Le fils de Joseph (2016), presentato in anteprima alla Berlinale, il film laboratoriale En attendant les Barbares (2017) e Le mur des morts nel 2022.
Nel 2020 è tornato nei Paesi Baschi per girare Atarrabi et Mikelats, presentato a San Sebastian. Ha all’attivo anche diversi cortometraggi, quali Le nom du feu (2002), Como Fernando Pessoa salvou Portugal (2017), Lisboa revisitada (2019) e il mediometraggio Les signes (2006).
“Considero l'Italia il mio secondo paese, sono stato molto influenzato dalla sua arte, soprattutto rinascimentale e barocca, e anche ovviamente dal cinema italiano”, ha detto ancora Eugène Green parlando sempre in in italiano durante l’incontro di questa mattina, moderato da Gianluca Arnone, caporedattore della Rivista del Cinematografo.
“La cultura è come un cibo per lo spirito, e quando è assimilata si può utilizzarla in una maniera personale”, prosegue il regista, che conclude: “Non credo possa esistere una cultura senza spiritualità, anche per questo credo che l’Europa stia morendo, perché si vorrebbe che tutte le diverse culture diventassero una sola. Senza la spiritualità l’uomo non esisterebbe, così come la sua cultura: il mio cinema è un tentativo di rendere la spiritualità all’Europa”.