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il Cinema Fiume di Verona
A Verona il cuore dell’arte batte forte. I più conoscono il teatro, l’Arena, Romeo e Giulietta. Ma la città ha un’anima cinefila ben radicata. Ci si sposta di poco dalla Basilica di San Zeno e si entra subito in un vicolo. Dalla cassa alla caffetteria, si percorre un corridoio. Un angolo è per il BookCrossing, lo “scambio” di libri tra i lettori. E poi si accede alla sala. Lo spazio è quadrato, sotto lo schermo c’è un palcoscenico.
Siamo al Cinema Fiume, una delle monosale più apprezzate in Italia, che fa ben sperare per il domani. Ha questo nome perché i precedenti proprietari erano esuli dell’Istria – Dalmazia. Nel 1993 c’è stato un cambio. “A rilevarlo è stato mio zio, che gestiva già un’altra monosala a Verona. In realtà lui lavorava nel ramo delle assicurazioni, ma questo era il suo sogno. Ha rinunciato a una carriera importante. Ha riacquistato il Cinema Fiume e lo ha ristrutturato. Il primo film a essere proiettato è stato Tre colori – Film blu di Kieślowski. Il soffitto a pannelli blu della sala è un omaggio al capolavoro del maestro polacco, di cui quest’anno si festeggia il trentennale dall’uscita. All’inizio non avevamo la concorrenza dei multiplex, delle piattaforme, era un periodo magico. Da subito siamo diventati un punto di riferimento per i veronesi”, spiega l’esercente Lucia Botturi.
La sala è grande, ha cinquecento posti. Non è nel centro storico, ma a San Zeno, un quartiere molto conosciuto in città. C’è solo la platea, non c’è la galleria. Ci si può sedere liberamente, senza numeri o file assegnate. Lo schermo è ampio, l’ambiente è familiare. Il film inizia puntuale, senza pubblicità. La programmazione è varia, orientata alla qualità. Si possono vedere i film di Christopher Nolan, Scorsese, ma non le epopee dei supereroi. È stato il quarto incasso in Italia per Le otto montagne. “Ormai è difficile fare sold out, l’ultimo a riuscirci è stato proprio il film con Borghi. Una volta durante le feste era frequente”. Dal 1996 è aperta anche l’arena estiva, adiacente alla sala. Ha 400 posti, è attiva da giugno a settembre, e ripropone i migliori titoli della stagione.
“La chiave del successo è la programmazione. Il nostro pubblico è prevalentemente adulto, colto, attento. È fidelizzato, abbiamo un rapporto diretto con gli spettatori, bisogna saperli ascoltare. Il dialogo è costante, siamo presenti. Così sentiamo le richieste, sappiamo come regolarci. L’empatia è un punto di forza”. Durante la settimana c’è anche un Cineforum, strutturato sulle quattro sale presenti nella città. Sono venticinque titoli, “un tempo erano trenta”, da ottobre a fine maggio. “In questo modo lo spettatore si prende l’impegno di venire in sala, vede anche il trailer di quello che verrà proiettato nei giorni successivi”.
Il “re” è il Cinema Fiume, poi ci sono il Pindemonte, il Diamante e il Kappadue, che ha vinto in passato il Biglietto d’Oro. Il Fiume ha una storia più antica, una programmazione più ampia. Il Kappadue si focalizza sull’essai, sulle rassegne in lingua originale, i restauri. “Ognuno ha una sua tipologia, e attira persone diverse. Il Pindemonte è quello con cui mio zio è partito, è parrocchiale, un po’ più conservatore. Il Diamante è più periferico, e si concentra anche su film commerciali in originale. Hanno tutti cinquecento posti, tranne il Kappadue che ne ha 480”. I giovani si possono incontrare durante i feriali. Joker, sempre in v.o., è stato un successo. Poi il mercoledì il biglietto costa sempre meno, è ridotto.
I blockbuster si evitano, ma si punta anche su franchise strutturati, come quello di Indiana Jones. “Un film che ha significato molto è stato Il ciclone di Pieraccioni. Nessuno voleva farlo, invece da noi ha avuto una tenitura da record. Con quell’incasso abbiamo comprato il terreno dell’arena estiva. Poi siamo molto legati a Verdone, che ci è venuto a trovare più volte. A segnare la mia esistenza è stato invece Pulp Fiction di Tarantino, ho un rapporto stretto con gli americani. Hollywood e non solo hanno forgiato un’epoca. Ci servono i titoli “grossi”, nei quali si investono milioni di dollari, perché sono quelli che ci fanno vivere da un punto di vista economico. Un esempio è Oppenheimer di Nolan, ma purtroppo non ne abbiamo uno al mese. La sfida con il flusso di immagini continuo che ci circonda è costante. Il futuro della sala non posso prevederlo, però so che dobbiamo mantenere un livello alto con le storie che proponiamo. E poi servirebbe una corretta regolamentazione delle “finestre” di uscita da parte dei distributori. Questo darebbe ordine, stabilità e delle negoziazioni civili. Ma per ora non ci sono notizie”.
Intanto, nel nostro viaggio, il Cinema Fiume ha sottolineato un’altra caratteristica centrale per essere in controtendenza con la crisi: la conoscenza del pubblico. Bisogna essere vicini alla platea, interrogarla, costruire un rapporto, saperla soddisfare con consapevolezza. Uno dei cardini del futuro è proprio l’identità, l’evento che scaturisce dal ritratto che si vuole dare di sé stessi, in un panorama sempre troppo legato alle novità e non all’interesse, alla passione. Ma come tutte le tendenze, anche questa può essere invertita.