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Eroe per caso © COLUMBIA PICTURES
Stasera alle ore 20:55, su Tv2000 (canale 28), va in onda Eroe per caso di Stephen Frears, con Dustin Hoffman, Geena Davis, Andy Garcia, Joan Cusack.
Pubblichiamo la recensione che Paolo Scandaletti scrisse per la Rivista del Cinematografo di giugno 1993.
Chicago: è notte e diluvia. Dentro una scassatissima auto che arranca verso la sua casa-magazzino il quasi barbone, un po’ ladro e un po’ cialtrone e un po’ buono, si trova catapultato in una situazione paradossale che lo costringe a diventare eroe pur avendo per una vita predicato il cinismo. L’auto si arresta sul ponte dove è precipitato un aereo: tra lamenti e terrore i passeggeri premono per uscire. L’hostess chiede aiuto per aprire lo sportello e Bernie Laplant (uno stupendo Dustin Hoffman) spinto dal la curiosità libera l’uscita a spallate, dopo aver messo al riparo le sue preziose scarpe da cento dollari.
Mentre i sopravvissuti fuggono, richiamato al dovere da un bambino che cerca il padre, egli entra nell'aereo in fiamme, libera e porta in salvo a spalla alcune persone intrappolate e ferite: tra queste, una cronista televisiva in smania da scoop. Lasciando ai pompieri il seguito dell’operazione, bofonchiando per una scarpa perduta ruba una borsetta e se ne va. Al barbone, più di lui sfigato, che gli darà un passaggio racconta l’accaduto e poi esce di scena secondo il suo abituale credo. Eroe nell’ombra, dunque.
Ma quando la giornalista – interpretata da una vivace Geena Davis – mette alla caccia del salvatore dei 54 passeggeri, ai riflettori della TV si affaccia il barbone (Andy Garcia), attratto dal milione di dollari-premio e dal desiderio di apparire nelle vesti dell’eroe, rubate all’Hoffman. Sulle prime questi non se ne accorge, impigliato com’è in mille trame da sbrogliare, fra carcere e aule di tribunale, la moglie bisbetica dalla quale è separato e il figlio da educare alle nefandezze della vita. Alla fine però tenta di inserirsi nella vicenda: lasciando all'amico barbone il grosso premio e il palcoscenico, vuole per sé e per l’avvenire del figlio quel tanto che basta per vivere senza farsi notare, anche senza la necessità di ricorrere a mille espedienti.
L’eroe vero e quello falso si accordano nel momento della massima esposizione televisiva, quando il secondo, pentito, sta per lanciarsi dal cornicione del 14° piano del lussuosissimo albergo che lo ospita. La TV, avida di storie forti, indotta dalla concorrenza a “scavare per scavare” nelle persone e negli eventi, creato il suo “mito di bontà” ne finisce imprigionata, e gabbata dalla sottile furbizia di un poveraccio inguaiato dalle circostanze della vita. Lui, cinico nelle parole, batte una TV tanto cinica nei comportamenti: si fa bella del pubblico credulone, pronto a bersi qualsiasi storia che sia confezionata secondo i canoni della montatura televisiva.
C’è dunque la denuncia dello strapotere del piccolo schermo: la messa a nudo dei suoi meccanismi sadico-sentimental-sensazionali, la strumentalizzazione delle persone e dei valori, l’uomo che finisce stritolato dentro il meccanismo infernale. C’è il profilo del giornalista che è spinto dall’ambizione di diventare una star, ma s’interroga anche sui rischi del mestiere e sui danni che può provocare la forzatura, c’è il cameraman succube del suo teleobiettivo e non vede oltre l’inquadratura.
La storia è bella, ben costruita, talvolta esilarante e insieme incalzante secondo gli standard consolidati del cinema giovane americano. Il regista, Stephen Frears, conduce il gioco con divertita sicurezza. Ma c’è anche tutta l’ambiguità interiore, tra la bontà e il cinismo, l’eroismo e il “volare basso” che inducono a confezionare una storia priva di un finale adeguato, un prodotto in realtà buono per il trionfante “interclassismo pubblicitario”. Anche “l'angelo del volo 104” è stato usato per gli applausi e il denaro.