(Cinematografo.it/Adnkronos) – "È una questione anche politica. Non possiamo continuare a considerare i mafiosi come qualcosa di altro da noi. Se non riconosciamo, come ha detto Giovanni Falcone, che la mafia è fatta di uomini allora non troviamo neanche gli strumenti per combatterla. Dobbiamo essere allenati: se i cattivi sono sempre gli altri allora non ne usciamo fuori. Chi fa delle cose è frutto di un contesto sociale".

Elio Germano è Iddu, rilettura di Matteo Messina Denaro ad opera di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, oggi in concorso a Venezia 81 e dal 10 ottobre nelle sale con 01 distribution. 

Il monito di Germano: "Dobbiamo stare attenti a quali valori proponiamo", dalla cultura ai giornali fino ai governi. “Perché se i valori sono di difesa dei propri confini, della propria patria, della famiglia, dell'esaltazione delle armi, del primatismo e dei privilegi da mantenere finiamo per sommare i valori a quelli mafiosi".

"Se vogliamo scardinare questa patologia dobbiamo lavorare su noi stessi e considerare che chiunque commetta atti efferati è un essere umano frutto di un contesto sociale. La paura di parlare che c'è adesso è qualcosa che rimanda a quel mondo. Dobbiamo stare molto attenti a quali valori opponiamo", conclude l'attore.

Il film è interpretato da Elio Germano e Toni Servillo (Catello), altri interpreti sono Daniela Marra, Barbora Bobulova, Giuseppe Tantillo, Fausto Russo Alesi, Betti Pedrazzi e con Antonia Truppo e con la partecipazione di Tommaso Ragno. Nel cast anche Filippo Luna, Rosario Palazzolo, Roberto De Francesco, Vincenzo Ferrera, Gianluca Zaccaria.

Toni Servillo e Elio Germano in Iddu - Foto Giulia Parlato
Toni Servillo e Elio Germano in Iddu - Foto Giulia Parlato

Toni Servillo e Elio Germano in Iddu - Foto Giulia Parlato

Dopo alcuni anni in prigione per mafia, Catello, politico di lungo corso, ha perso tutto. Quando i Servizi Segreti italiani gli chiedono aiuto per catturare il suo figlioccio Matteo, ultimo grande latitante di mafia in circolazione, Catello coglie l'occasione per rimettersi in gioco.

Uomo furbo dalle cento maschere, instancabile illusionista che trasforma verità in menzogna e menzogna in verità, Catello dà vita a un unico quanto improbabile scambio epistolare con il latitante, del cui vuoto emotivo cerca d’approfittare. Un azzardo che con uno dei criminali più ricercati al mondo comporta un certo rischio…

A proposito del suo personaggio, Toni Servillo spiega: “Catello è un saltimbanco assediato dalla disperazione che, ricorrendo alla propria cultura da cabotin, vuole sistemarsi. Ogni volta che si presenta una nuova situazione, Catello cambia e recita un ruolo: quando incontra un agente impegnato nella cattura di Messina Denaro, si specchia e riconosce nella sua persona, e viceversa. Catello conferisce alla realtà un’atmosfera graffiante e grottesca che permette di coglierne il tragico”.

La dimensione grottesca del personaggio, secondo Servillo, "rappresenta un ispessimento del segno con cui si tratteggia il personaggio, che attraverso il ridicolo moltiplica la consapevolezza che c'è subito dietro, ovvero una dimensione profondamente tragica. Perché è da questo universo miserabile dal quale dipendono in molti casi le condizioni del personaggio, di una ragione e dello Stato".

Iddu mette in scena lo scacco di un potere criminale che rappresenta una zavorra per l'emancipazione civile e sociale dell'Italia: "Situazioni che facciamo anche fatica a riconoscere. Visti così da vicino ci domandiamo tragicamente, ma com'è possibile? Com'è possibile non sconfiggere, non opporre secoli di cultura del nostro Paese a queste miserabili vicende umane che garantiscono, favoriscono la latitanza e il vissuto di alcuni illustri criminali?".

I registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza - Foto Giulia Parlato
I registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza - Foto Giulia Parlato

I registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza - Foto Giulia Parlato

Per quanto riguarda la chiave con cui tentare di approcciarsi a Matteo Messina Denaro, il regista Fabio Grassadonia racconta: “Lo studio su Matteo Messina Denaro parte da lontano. È stato un processo lungo e complicato: i dati certi non erano molti, pochi atti giudiziari e inchieste. Poi ci siamo imbattuti in un carteggio tra lui e un sindaco - un po’ la maschera della commedia italiana - che aveva avuto luogo tra il 2004 e il 2006. In quelle lettere Messina Denaro si dilungava parecchio su se stesso, catapultandoci così nella sua dimensione esistenziale: pian piano emergeva un ritratto sempre più chiaro di questo narciso criminale. L’epistolario è stato quindi il seme per questo film”.

Sulle connessioni con il presente, poi: “Quello che abbiamo portato alla luce crediamo sia più che attuale, è questa sorta di presente nel quale una società continua a sguazzare. Nel quale sembra non esserci un'idea d'uscita che apra la possibilità di un nuovo futuro", dice ancora Grassadonia.

A incuriosire i due registi, la figura complessa e contraddittoria di Matteo Messina Denaro, raccontata attraverso lo studio dei suoi pizzini: "Quello che ci ha appassionato di Matteo Messina Denaro - racconta Grassadonia - è emerso nello studio soprattutto di questi messaggi, grazie ai quali lui interagiva con il mondo del quale aveva bisogno per portare avanti la sua latitanza e i suoi affari. Perché erano pizzini nei quali, al di là delle righe dedicate agli affari e alle necessità insomma di affari di mafia, lui lasciava emergere la propria personalità, spesso senza filtri".

Per Grassadonia e Piazza, raccontare il tessuto sociale siciliano è una missione: "Noi siamo siciliani e di conseguenza ci continuiamo a interrogare sulla storia recente o recentissima di Sicilia. Può essere molto scomodo perché sono temi che in qualche modo vorremmo dimenticare, ma il punto è che la lunga latitanza di Matteo Messia Denaro è una delle pagine nere della storia d'Italia ed è uno dei tanti segreti forse destinati a rimanere tali come il depistaggio della strage di Via D'Amelio, cioè sono quelle zone di assenza di verità che in quanto siciliani ci addolorano", dice Antonio Piazza, che conclude: “Siamo abituati a un’immagine dei boss di mafia con il santino in tasca: Matteo Messina Denaro non era così. In Iddu il tema delle donne entra lateralmente, il rapporto paterno è prova di un patriarcato patologico che è centrale nel film. Le figure femminili agiscono da contrasto, dalla donna che gli offre ospitalità alla sua ossessione per il sesso”.