PHOTO
Oppenheimer © Universal Pictures. All Rights Reserved.
Parte oggi una nuova rubrica che ci accompagnerà settimanalmente fino alla cerimonia dei 96esimi Academy Awards, meglio noti come premi Oscar, che si terrà al Dolby Theatre di Los Angeles nella notte di domenica 10 marzo. Analizzeremo di volta in volta alcune delle 23 categorie in gara, provando a pronosticare il vincitore, con uno sguardo rivolto alla storia recente del premio in cerca di tendenze ed elementi ricorrenti. Una nota di metodo: per convenzione stabilita dalla stessa Academy si cita l’anno di riferimento della stagione cinematografica di uscita statunitense del film e non l’anno solare in cui si è tenuta la cerimonia (ad esempio, quest’anno si tengono gli Oscar 2023, mentre gli Oscar 2024 si terranno nel 2025). Quest’oggi iniziamo con quattro categorie “tecniche”: miglior fotografia, montaggio, sonoro ed effetti visivi.
MIGLIOR FOTOGRAFIA
Cinque direttori della fotografia in cerca del primo Oscar e tutti già candidati almeno una volta. È questo il parterre che costituisce una ricca cinquina costituita da quattro delle pellicole candidate al “miglior film” e una che ha ricevuto la sua unica citazione (si dice “lone nomination”).
Sembra abbastanza assodato, anche dopo la vittoria del Critics’ Choice, che l’olandese Hoyte van Hoytema porterà a casa la statuetta dorata per il suo lavoro in Oppenheimer di Christopher Nolan, del quale è collaboratore frequente e aveva ricevuto la prima nomination con Dunkirk (2017). Il suo lavoro si destreggia fra fotografia a colori e in bianco e nero, a sottolineare i punti di vista del fisico Oppenheimer e dell’ammiraglio Strauss, e soprattutto con il faticoso – anche fisicamente – lavoro con le cineprese IMAX che permettono di ottenere una chiarezza e una nitidezza sorprendenti.
Non è l’unico in cinquina ad usare il doppio binario cromatico: anche Maestro passa dal colore al bianco e nero, sebbene in successione e non in alternanza, per volere del regista e interprete Bradley Cooper che segna così il passaggio di consapevolezza della moglie del protagonista, il compositore Leonard Bernstein, rispetto alla vita del marito. L’americano di origini filippine Matthew Libatique è alla terza candidatura dopo quelle ricevute per Il cigno nero (2010) e A Star Is Born (2018).
Solo in bianco e nero, invece, è la fotografia di El Conde, visto e premiato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, opera di Edward Lachman, già candidato per Lontano dal paradiso (2002) e Carol (2015), e che regala così l’unica nomination al film del cileno Pablo Larraín. Ormai quasi ogni anno una pellicola in bianco e nero viene candidata, e negli ultimi cinque anni ben due sono stati i film premiati ovvero Mank (2020/21) e Roma (2018), mentre recenti candidati sono stati Macbeth (2022), The Lighthouse (2019), Cold War (2018), Ida (2014), Nebraska (2013), The Artist (2011) e Il nastro bianco (2009).
Alla seconda candidatura per un film di Yorgos Lanthimos, dopo La favorita (2018), è l’irlandese Robbie Ryan in lizza per Povere creature!, girato interamente in pellicola. Ryan si è ispirato al Dracula di Bram Stoker (1992), che si basava molto sulle prime tecniche cinematografiche come le miniature, gli sfondi elaborati, la falsa prospettiva e la velocizzazione della macchina da presa. Ancora una volta si passa dal bianco e nero al colore per sottolineare il viaggio di Bella Baxter e la scoperta di un nuovo mondo.
Chiude la cinquina il rivale più agguerrito del film di Nolan, ovvero Killers of the Flower Moon, la cui fotografia firmata dal messicano Rodrigo Prieto, alla quarta nomination dopo I segreti di Brokeback Mountain (2005), Silence (2016) e The Irishman (2019), si gioca soprattutto in esterni. L’apertura mozzafiato del film in cui il petrolio esce dalle terre di Osage e inonda la sua gente di denso petrolio varrebbe da sola la statuetta dorata, se poi si considera che Prieto ha lavorato anche per Barbie, è stato davvero un anno eccezionale per lui.
VINCERÀ: Oppenheimer
POTREBBE VINCERE: Killers of the Flower Moon
MIGLIOR MONTAGGIO
Non bisogna mai dare per scontato l’Oscar al miglior montaggio, costantemente connesso con la categoria maggiore del “miglior film”. É ormai assodato che senza una nomination in questa categoria difficilmente si può vincere il premio più ambito della serata. Se, infatti, si esclude il 2022 (la vittoria finale di CODA fu un abbaglio figlio dei tempi) e il 2014 (Birdman era in piano sequenza, senza o quasi montaggio), bisogna tornare addirittura al 1980 con la vittoria di Gente comune per trovare un “miglior film” senza nomination al montaggio, segno che un buon lavoro in questo campo fa la differenza, anzi, fa il film stesso!
E, difatti, questo sembra essere un ulteriore anno dove entrambe le statuette, come avvenuto lo scorso anno con Everything Everywhere All at Once, andranno allo stesso film, ovvero Oppenheimer che regalerà alla montatrice Jennifer Lame il suo primo Oscar alla prima nomination e alla seconda collaborazione con Nolan dopo Tenet (2020). Dalla sua pende il gioco con le strutture temporali che fa largo uso di flashback, flashforward e l’intersezione di diverse linee temporali (montaggio parallelo e montaggio alternato) per dare profondità ai personaggi e alla vicenda del fisico americano.
A una neofita della gara si oppone una vera e propria veterana, giunta alla nona nomination di categoria, superando Michael Kahn, collaboratore di Spielberg, fermo a otto e ottenendo così il record sia di candidature che di vittorie. Trattasi della leggendaria Thelma Schoonmaker, ottantaquattrenne, in gara con Killers of the Flower Moon e premiata già tre volte sempre per pellicole di Martin Scorsese, quali Toro scatenato (1980), The Aviator (2004) e The Departed (2006).
C’è poi un terzo film che, come i già citati, si presenta già per la notevole durata come un’opera di montaggio invidiabile, ed è il francese Anatomia di una caduta, il cui montatore Laurent Sénéchal, alla prima candidatura, ha già ricevuto l’European Film Award. Suo il compito di passare dal processo, con le sue diverse inquadrature, alla casa di montagna e ai ricordi, veri o fittizi, dei diversi protagonisti della vicenda. Se vincesse sarebbe il primo film in lingua straniera a farcela dai tempi addirittura di Z - L'orgia del potere di Costa-Gavras (1969).
In un anno privo di musical e film d’azione o fantascienza, trova spazio in cinquina anche una commedia come The Holdovers - Lezioni di vita, il cui montaggio è curato da Kevin Tent, già candidato per Paradiso amaro (2011), sempre per la regia di Alexander Payne. È insolito che le commedie “tradizionali” ricevano una citazione per il montaggio, ed è quasi impossibile che vincano, ma si apprezza che il lavoro puntuale e chirurgico di Tent sia stato valorizzato.
Ben più classica, infine, è la nomination di Povere creature!, il film più vicino a un fantasy tra quelli in gara, il cui montaggio è opera del greco Yorgos Mavropsaridis, già candidato per La favorita (2018), sempre di Lanthimos, e alle prese con il ritmo sempre più frenetico che il viaggio e le esperienze accumulate da Bella assumono nel corso del film.
VINCERÀ: Oppenheimer
POTREBBE VINCERE: Povere creature!
MIGLIOR SONORO
Ormai tre anni fa sono state accorpate le categorie che premiavano il “mixaggio sonoro” e “montaggio sonoro”, divise sin dal 1982. Un’unione resa necessaria dalla prassi ormai abituale di consegnare le due statuette allo stesso film.
Anche in questo caso il vincitore annunciato pare Oppenheimer, che con il suono ritardato allo scoppio della bomba nel test nucleare regala uno dei momenti più epici del film, così come allo scrosciare sordo e forte dell’applauso al fisico va quasi a sostituire l’assenza della bomba a Hiroshima, per non parlare dell’incipit della pellicola. Non sembra esserci partita e questo donerà, fra gli altri, il secondo consecutivo Oscar al tecnico Kevin O’Connell, premiato per La battaglia di Hacksaw Ridge (2016) dopo 19 nomination andate a vuoto. Sarebbe il quarto film di Nolan a vincere qui dopo Il Cavaliere Oscuro (2008), Inception (2010) e Dunkirk (2017).
Degni di nota sono, senza dubbio, anche i lavori compiuti in Maestro e La zona d’interesse, il primo più per il mixaggio sonoro e il secondo per il montaggio sonoro. Il biopic di Bradley Cooper, occupandosi di un leggendario compositore, regala alti momenti musicali che porterebbe il film nella scia di recenti premiati quali Sound of Metal (2020/21), Bohemian Rhapsody (2018), Whiplash (2014) e Les Misérables (2013). Il film di Glazer ci porta, pur non entrandovi mai, nell’orrore del campo di concentramento di Auschwitz attraverso i suoni e i rumori che da lì provengono e si riverberano nella casa del gerarca nazista. Un’operazione che mette i brividi per la sua genialità e forza espressiva.
Più classiche, e meno prevedibili, le nomination a The Creator e Mission: Impossible – Dead Reckoning: Parte Uno, che hanno soffiato il posto a Ferrari, Barbie e Killers of the Flower Moon. È più usuale veder trionfare in questa categoria film d’azione o di fantascienza che fanno uso massiccio di effetti sonori, come evidenziano le statuette assegnate a Top Gun: Maverick (2022), Dune (2021), Mad Max: Fury Road (2015), Arrival (2016), American Sniper (2014), 007 Skyfall (2012) e The Bourne Ultimatum (2007).
VINCERÀ: Oppenheimer
POTREBBE VINCERE: La zona d’interesse
MIGLIORI EFFETTI VISIVI
Per una volta non è Oppenheimer ad essere il favorito perché inspiegabilmente assente dalla cinquina, nonostante il Critics’ Choice e l’incetta di nomination ai VES, premi del sindacato effetti speciali. L’uso di effetti tradizionali senza ricorrere alla CGI sembrava andare nella direzione di una vittoria “tradizionale” come avvenuto per 1917 (2019), tuttavia il film di Nolan non è rientrato nemmeno nella shortlist a 20 titoli e quindi non si affiancherà a Tenet, Interstellar e Inception vincitori in questa categoria.
Non c’è, quindi, un vero e proprio favorito della vigilia. Guardando ai titoli in gara, quello più completo e che fa un uso massiccio e credibile di effetti visivi è il disneyano The Creator, distopia sul trionfo dell’intelligenza artificiale, che richiama recenti vincitori come Dune (2021), Blade Runner 2049 (2017) ed Ex Machina (2015). A tallonarlo è uno dei “casi” dell’anno che, soprattutto negli Stati Uniti, con il passaparola ha macinato incassi record, ovvero il giapponese Godzilla: Minus One: il suo storico “avversario” King Kong ha già vinto in questa categoria nel 2005 e nel 1976, forse è arrivata l’ora del lucertolone nipponico che ha ottenuto la prima storica nomination in assoluto del suo franchise. E lo stesso si può dire per Mission: Impossible – Dead Reckoning: Parte Uno. La saga con Tom Cruise, giunta al settimo capitolo, non era mai entrata nelle cinquine degli Oscar. Si può, direi, accontentare così.
In cerca, strano ma vero, del primo Oscar di categoria è il Marvel Cinematic Universe che, nonostante le 14 nomination racimolate negli anni, non ce l’ha fatta nemmeno con uno degli Avengers o dei Black Panther, mentre risale a Spider-Man 2 (2004), prima dell’universo espanso, l’ultimo Oscar a un cine-comic Marvel. Guardiani della Galassia Vol. 3 ottiene la terza candidatura su tre film dopo i precedenti capitoli nel 2014 e nel 2017 e c’è qualcuno pronto a scommettere che, nonostante la debolezza del film, sarà proprio questo a rompere la maledizione.
A chiudere la cinquina dove, vergognosamente, è assente Spider-Man: Across the Spider-Verse, è Napoleon che cerca di seguire la scia di altri film epici come Il Gladiatore (2000). Ma erano davvero altri tempi.
VINCERÀ: Godzilla: Minus One
POTREBBE VINCERE: The Creator