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Famiglia Fracci (Luigi, Carla, Santina, Marisa) - @ archivio Olycom/LaPresse
“Carla era contemporanea e poteva parlare a noi oggi”. A dirlo è il regista Daniele Luchetti che ha voluto rendere omaggio alla grande ballerina Carla Fracci con il suo doc Codice Carla. Prodotto da Anele con Luce Cinecittà e Rai Cinema il film arriva nelle sale italiane il 13, 14 e 15 novembre distribuito in esclusiva da Nexo Digital e vuole ripercorrere l’arte dell’étoile che ha fatto del suo corpo la sua massima espressione.
“Questo è un racconto che ho fatto con tutto il cuore. Ho scelto di raccontare qualcosa di cui non sapevo niente”, dice il regista. Che curiosamente aveva già incontrato Carla nella sua vita quando da adolescente, a diciannove anni, sognava di fare il regista e si era intrufolato negli studi di Cinecittà e l’aveva vista da lontano su un set. “C’era lei e un bosco sullo sfondo. Io avevo scavalcato, la sorveglianza mi cacciò e lei mi aveva fulminato con lo sguardo, non me lo dimenticherò mai”, racconta. Evidentemente però i due si dovevano in qualche modo ritrovare. È quel che succede in questo doc che intreccia varie interviste e immagini di repertorio alle testimonianze d’eccezione di Roberto Bolle, Jeremy Irons, Marina Abramovic, Carolyn Carlson, Eleonora Abbagnato, Alessandra Ferri, Enrico Rava, Chiara Bersani, Beppe e Francesco Menegatti, Luisa Graziadei, Vittoria Regina, Gaia Straccamore, Hanna Poikonen.
“Ero a casa e guardavo i suoi materiali di repertorio - racconta il regista -. Sul computer avevo un pezzo di musica di Thom Yorke. Si sono incastrati benissimo questi due elementi. Quella musica ritmica contemporanea mi ha fatto capire che Carla era contemporanea. E questo mi interessava moltissimo. Ho formulato una serie di domande che le avrei voluto fare. Abbiamo trovato alcune risposte negli archivi. Altre in quelle degli intervistati, partendo dalla materia oscura che unisce tutti gli artisti di cui parla Francesco Menegatti, il figlio di Carla. La mia voce fuori campo che parla è un’idea dell’ultimo minuto. L’idea era quella di provare a parlare con lei direttamente. Il film è un mix di tutte queste spinte e pulsioni. Abbiamo penato tanto anche per trovare il titolo. Oggi penso che Codice Carla sia il più adatto: è la password per entrare non solo nel regno di Carla, ma in quello dei performer in scena”.
Quale la capacità di parlare oggi di Carla? “Quello che ho scoperto l’ho messo nel film- risponde-. Lei ci insegna che il fisico prevale sul virtuale. Questo ce lo sta dicendo anche il post Covid. Il teatro si è ripreso molto più velocemente rispetto al cinema. Lo spettacolo dal vivo prevale sul virtuale, l’emozione che si ha in presenza è qualcosa di inestimabile”. E poi: “Il danzatore ha le stesse necessità che ha un attore. Si parte dalla comprensione del personaggio e del testo, che sia musicale o un libretto, e ne segue un allenamento. Bisogna imparare la parte tecnica e poi si va finalmente sulla scena e ci si abbandona alle emozioni. Si dimentica tutto quel che è atletico per attivare i neuroni specchio dello spettatore come un’onda che increspa il mare e che deve arrivare anche a chi sta in fondo. Le tematiche familiari sono sempre le stesse. Gli artisti creano amori e rancori, disastri e legami”.
Certo sul mondo di Carla rimane la sensazione che ci sia ancora molto da esplorare, come per esempio sul tema del balletto considerato un po’ la Cenerentola del teatro, visto che riceve meno fondi rispetto all’opera. Un tema nel film appena accennato. “Tanto materiale è rimasto fuori- risponde il regista-. Era davvero sterminato. Volevamo anche raccontarla come animale politico perché lo è stato. Era molto arrabbiata su questo tema. Ma non siamo riusciti ad andare a fondo su tutto. Abbiamo anche tagliato alcune cose belle e importanti. Ho preferito raccontare i teatri tendoni, cioè quegli spazi a basso costo per il grande pubblico. C’è ancora molto da esplorare”.
Che rapporto c’è tra musica danza e cinema? “Siamo tutti figli della stessa divinità. Spinti a fare qualcosa di insensato. C’è chi salva le vite come i medici e chi, come noi, le rende un pochino più piacevoli. L’elemento di sinergia tra luce, suono e movimento è molto forte. Noi dovremmo utilizzare tutti questi elementi in modo più disinibito senza appiattirci sulla drammaturgia e sui dialoghi. C’è un campo nuovo che si apre”.
Ad accompagnarci in questo percorso di danza e parole, le musiche degli Atoms For Peace edite da Thom Yorke e Sam Petts-Davies, con Thom Yorke a ricoprire anche il ruolo di Music Supervisor del film.
“Questo è un doc senza fronzoli, che ha dinamica e ritmo. L’ho apprezzato molto. Carla è una vincitrice contemporanea. Avrebbe amato questa musica”, conclude Beppe Menegatti, il marito di Carla.