Ci sono alcuni stati americani nei quali a ottobre, ogni quattro anni, è impossibile sfuggire alla politica. Si può provare a chiudersi in casa e staccare la tv, spegnere lo smartphone, chiudere il laptop, silenziare la radio. Tutto inutile, perché qualcuno prima o poi verrà a bussare alla porta. Per chi abita in uno swing state, l’ottobre elettorale è il mese del grande assedio finale.

A novembre si vota e i candidati sono alla disperata ricerca degli ultimi voti in questi “stati oscillanti” che fanno la differenza. La porta di casa è l’oggetto di questa puntata del nostro Countdown verso le elezioni americane ed è l’ultima barriera che separa i cittadini dalla politica door to door di chi cerca consenso. Per come è fatto il sistema elettorale degli Stati Uniti, il risultato nazionale non conta niente, conta vincere la maggioranza dei voti in ciascun stato per conquistarne i “voti elettorali”.

Alla Casa Bianca va chi ne colleziona almeno 270 sui 538 in palio. Ma in più di quaranta dei 50 stati che compongono gli Usa si sa già come va a finire. Il che riduce la corsa ai pochi stati che “oscillano”. Anni fa, all’inizio del secolo, erano soprattutto l’Ohio e la Florida. Quest’anno sono sette. È un ottobre in cui non possono sfuggire alla propaganda politica gli abitanti di Wisconsin e Michigan, nella regione dei Grandi Laghi, così come quelli della Pennsylvania, i più ambiti perché vivono in uno stato con ben 19 voti elettorali in palio. Altrettando presi d’assedio, a sud di Washington, sono i residenti di North Carolina e Georgia.

E ancora, nel West, quelli di Arizona e Nevada. I candidati alla Casa Bianca passano ottobre a fare comizi solo in questi stati, investono qui centinaia di milioni di dollari di pubblicità in tv e sui giornali. E spediscono decine di migliaia di volontari a bussare alle porte e consegnare volantini, spille e cartelli da mettere in giardino. Insieme al porta a porta, ottobre è anche il mese delle possibili sorprese finali (October Surprise, la chiamano i commentatori politici americani) e anche delle mosse sporche e disperate dell’ultimo momento.

Se c’è qualche scandalo – vero o presunto - da tirar fuori per danneggiare l’avversario, questo è l’ultimo mese per farlo. Come accadde nel 2016 con la diffusione da parte di Wikileaks delle mail personali di Hillary Clinton, che misero in difficoltà l’allora candidata dei democratici (poi sconfitta a novembre da Donald Trump). Il cinema, anche in questo caso, si è divertito a inventare molteplici scenari di scandali elettorali. Il film che forse li riassume meglio è I colori della vittoria (Primary Colors) di Mike Nichols, del 1998, con John Travolta nei panni del governatore dell’Arkansas in corsa per la Casa Bianca ed Emma Thompson in quelli di sua moglie. Praticamente la storia di Bill e Hillary Clinton, in una versione fiction piena di cinismo, mosse sporche contro gli avversari e rivelazioni imbarazzanti di ogni genere. Da rivedere per scoprire che la politica senza esclusione di colpi non è nata con i social media.