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Che caos quell’anno a Chicago. Che caos quell’anno, in realtà, in tutto il paese e nel resto del mondo. Era il 1968 e la campagna elettorale americana era lo specchio delle speranze e delle tragedie del momento. Il presidente in carica, il democratico Lyndon B. Johnson, iniziò l’anno decidendo di ritirarsi dalla competizione per il bis alla Casa Bianca. Aveva capito di essere troppo impopolare e contestato nel suo stesso partito per potercela fare. Colpa soprattutto di due cose che aveva fatto nel corso della presidenza, una giusta e una pessima: aveva sconfitto la segregazione razziale nel Sud (che votava in gran parte democratico e non glielo perdonò) e aveva fatto morire migliaia di ragazzi americani in Vietnam.
Era il Sessantotto, si sperava in un mondo migliore, ma due personaggi che incarnavano più di tutti la speranza negli Stati Uniti vennero entrambi ammazzati in piena campagna elettorale: Martin Luther King e Robert F. Kennedy. Quando i democratici si riunirono nella loro convention estiva a Chicago, erano un partito allo sbando e intorno a loro c’era una città in fiamme. È quella che Aaron Sorkin, grande raccontatore della politica americana (chi non ha visto almeno una puntata del suo West Wing?), ha ritratto qualche anno fa in Il processo ai Chicago 7, incassando sei nomination agli Oscar. Fu la convention dalla quale uscì come candidato dei democratici il debole Hubert Humphrey, che poi sarebbe stato travolto alle urne da Richard Nixon.
Eppure, anche allora, al momento di chiudere la convention e nominare il candidato, in mezzo al caos del Sessantotto, volarono i palloncini. Perché nella corsa alla Casa Bianca i palloncini sono una cosa maledettamente seria ed è a quelle sfere gonfiabili bianche rosse e blu che è dedicata questa puntata di Countdown, il nostro conto alla rovescia verso le elezioni presidenziali di novembre. L’estate è sempre il tempo delle convention.
Quest’anno i repubblicani si riuniscono a Milwaukee, la città che chi ha qualche anno sulle spalle ricorda soprattutto per la serie tv Happy Days. I democratici invece tornano coraggiosamente a Chicago, la metropoli di quei loro days tutt’altro che happy del 1968. E si rivedranno i palloncini, che per tradizione hanno cominciato a piovere sul candidato nella festa finale fin dal 1932 e non sono mai mancati nelle convention dal 1956 a quelle del 2020, che causa Covid erano state momenti sobri e senza festa.
La pioggia di palloncini viene studiata nei minimi particolari, è un’operazione complessa e di dimensioni gigantesche: alla convention dei repubblicani nel 2016, su Donald Trump e i suoi fan ne furono fatti cadere ben 125 mila, il record da battere. Se i tecnici dei palloncini sbagliano qualcosa, viene preso come un pessimo segno in vista del voto. I democratici ricordano ancora con orrore i palloncini rimasti incastrati sul soffitto durante le convention di Jimmy Carter nel 1980 e di John Kerry nel 2004. Entrambi poi sconfitti.