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Le idi di marzo
“It’s the economy, stupid!”. In America da anni è una frase che si trova stampata su tazze e magliette. Ne hanno ricavato poster e meme per i social. È stata declinata in mille altri modi, sostituendo la parola “economy” con qualcos’altro. Un po’ l’equivalente della britannica “Keep Calm and Carry On”, prodotta dal governo durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e riscoperta nel Ventunesimo secolo dal mondo del marketing, che l’ha utilizzata in ogni possibile versione e colore.
A inventare l’esclamazione che mette al centro dell’attenzione l’economia è stato uno stratega politico, James Carville. La frase era uno dei messaggi-chiave che Carville ripeteva al suo team e faceva appendere sulle pareti nel quartier generale della campagna elettorale di Bill Clinton nel 1992. Il giovane governatore dell’Arkansas sfidava il presidente in carica, George H.W. Bush, che guidava un’America appena uscita vincitrice dalla prima guerra in Iraq e senza più rivali, dopo il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Urss. Il 90% degli americani nel 1991 aveva un giudizio positivo sul lavoro di Bush, batterlo sembrava impossibile. Tutti dicevano che la politica estera era il tema decisivo, ma Carville aveva fiutato l’aria e capito che alla gente comune fregava poco della sconfitta di Saddam Hussein o delle dimissioni di Michail Gorbaciov: il problema era come pagare il mutuo della casa e arrivare alla fine del mese. Il messaggio che Clinton e il suo team dovevano tenere sempre a mente era un altro: “It’s the economy, stupid!”. E nel novembre 1992, a sorpresa, Bill Clinton divenne il 42° presidente degli Stati Uniti.
Lo stratega è una figura essenziale per capire le elezioni americane. Nel bene e nel male, perché molto spesso è un personaggio senza scrupoli o è quello che fa naufragare una campagna che sembrava vincente. Nel nostro Countdown verso il voto di novembre, è naturale mettere gli strateghi adesso al centro dell’attenzione, perché la primavera è il loro momento: da qui a novembre devono disegnare il percorso giusto per vincere. E visto che l’America è una terra dove si fanno elezioni per tutto – dal presidente del consiglio di classe al sindaco, lo sceriffo, i giudici, i procuratori distrettuali, i deputati e senatori e su fino alla Casa Bianca -, quella dello stratega è una professione che è diventata un’industria.
Il cinema ne è sempre stato affascinato. I film politici americani pullulano di strateghi e personaggi che si muovono dietro le quinte, manovrando i candidati. Si possono ricordare Tutti gli uomini del re di Robert Rossen del 1949, poi riproposto con Sean Penn nel 2006; Lo stato dell’unione con Spencer Tracy del 1948, che l’ex attore Ronald Reagan decenni dopo citava continuamente in campagna elettorale; o il più recente Le idi di marzo, con lo stratega Ryan Gosling alle prese con i dilemmi etici sollevati dal suo capo, il candidato presidente George Clooney. Ma per capire davvero il mestiere dello stratega sono più utili i documentari: primo tra tutti The War Room del 1993, che racconta proprio il lavoro di James Carville e della squadra di personaggi fuori dagli schemi che fece vincere Clinton.