Il 20 gennaio prossimo a mezzogiorno, di fronte a migliaia di persone radunate nella spianata di fronte al Campidoglio di Washington, Donald Trump poggerà la mano destra su una Bibbia per giurare come 47° presidente degli Stati Uniti. Le ultime parole che dirà, prima di assumere il comando del Paese, saranno “So help me God”.

Come hanno fatto quasi tutti i suoi predecessori dai tempi di George Washington, con poche eccezioni, tra cui quella di Theodore Roosevelt che preferì lasciare da parte l’Altissimo. È significativo che l’ultima parola che viene pronunciata al termine di tutta la contesa elettorale, un attimo primo di entrare in carica, sia “Dio”. È per questo che, come ultimo oggetto del nostro Countdown che si conclude, occorre scegliere la Bibbia. Perché da due secoli e mezzo quell’esperimento di democrazia che chiamiamo Stati Uniti d’America ha un profondo senso religioso, ma anche una tendenza a mescolare la religione con politica e finanza, infilando Dio nelle formule dei giuramenti o sulle banconote da un dollaro (“In God we trust”).

Trump adesso avrà il difficile compito di sanare le ferite di un paese profondamente diviso e non sappiamo quanto la Bibbia gli sarà di conforto o quanto la utilizzerà come simbolo, magari da scagliare contro i propri nemici. Nei mesi scorsi in campagna elettorale, quando era al centro di una bufera giudiziaria, aveva diffuso un video nel quale si dichiarava martire di una persecuzione, mostrava una Bibbia con il brand Trump e invitava i sostenitori a comprare la God Bless the USA Bible a $59,99 per sostenere la sua corsa alla Casa Bianca e le sue spese legali. Adesso che giurerà sulla Bibbia per la seconda volta in otto anni c’è grande attesa, e un po’ di timore, nel vedere cosa accadrà dopo quel “So help me God”.

Cinematograficamente parlando, in molti si aspettano una presidenza da film del genere catastrofico o un horror movie, nel quale Trump però potrebbe avere anche un ruolo da presidente eroe mentre tutto intorno crolla. Come Harrison Ford in Air Force One, Jack Nicholson in Mars Attacks!, Aaron Eckhart in Attacco al potere o Morgan Freeman in Deep Impact. Ma viste le molte questioni giudiziarie ancora aperte e non risolte, potrebbe anche interpretare sé stesso in un remake di Tutti gli uomini del presidente, il film da Oscar con cui Alan J. Pakula raccontò lo scandalo Watergate e la presidenza di Richard Nixon attraverso le inchieste dei reporter Carl Bernstein e Bob Woodward (Dustin Hoffman e Robert Redford).

Resta invece per ora solo una finzione cinematografica l’idea di una presidente degli Stati Uniti donna. Non è riuscito né a Hillary Clinton, né a Kamala Harris, entrambe sconfitte da Trump. Ci si può consolare riguardando Meryl Streep in Don’t Look Up (anche se interpretava una presidente molto trumpiana) o Robin Wright nell’ultima stagione di House of Cards. In attesa che arrivi finalmente il turno di una donna nello Studio Ovale, dopo quarantacinque maschi di cui due, Grover Cleveland e Donald Trump, hanno voluto e ottenuto anche il bis dopo la sconfitta.