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Cillian Murphy in Oppenheimer © Universal Pictures. All Rights Reserved.
Manca quasi un mese all’annuncio delle nomination agli Oscar, giunti quest’anno alla 96esima edizione, e lo stato delle cose sembra più limpido del solito. Almeno sul fronte delle candidature, dato che i premi dei principali festival dell’anno e quelli degli enti cinematografici e delle associazioni locali si stanno concentrando su una manciata di titoli: Oppenheimer (miglior film per i circoli dei critici di Atlanta, Boston, Las Vegas, Southeastern, St. Louis), Killers of the Flower Moon (National Board of Review, Boston Online, Chicago, New York, Palm Springs, Phoenix), Povere creature! (Mostra di Venezia, Indiana, New York, Philadelphia), Past Lives (Gotham Awards, Dublino, Phoenix), American Fiction (Toronto Film Festival, Washington), La zona d’interesse (Los Angeles, Toronto), The Holdovers (Boston, Dallas). Nel gruppone dei favoriti c’è ovviamente anche Barbie, il film da record della stagione, c’è Anatomia di una caduta, la “sensation” europea più forte dell’annata, e c’è Maestro, il titolo su cui punta Netflix.
Le candidature ai Golden Globe lasciano il tempo che trovano (sei drammi e sei commedie, più sei blockbuster della nuova categoria, sei animazioni e sei stranieri: tutti dentro, pur di avere qualche star a quella che sta diventando la cerimonia meno invitante di Hollywood) ma confermano l’andamento generale, idem quelle dei Critics’ Choice (dieci titoli in corsa per il miglior film), mentre le nomination degli Independent Spirit Awards riguardano solo le produzioni con un budget inferiore ai 30 milioni di dollari.
I frontrunner
La categoria dell’Oscar al miglior film può comprendere fino a dieci titoli e sono almeno otto quelli che hanno prenotato un posto. Oppenheimer, uno dei grandi successi dell’anno (oltre 950 milioni al box office globale), potrebbe offrire la prima vittoria a Christopher Nolan, uno dei registi più popolari e influenti in circolazione, dopo cinque nomination andate a vuoto. Sulla carta si direbbe che è arrivato il monto: il biopic (per quanto originale) è uno dei generi prediletti dall’Academy, le interpretazioni principali sono di rilievo (Cillian Murphy, Robert Downey Jr. e Emily Blunt hanno prenotato i posti nelle rispettive cinquine), la confezione prestigiosa (fotografia in giù).
Difficile ignorare il fenomeno Barbie, il primo film diretto da una regista in solitaria a superare il miliardo di dollari al botteghino, anche perché l’autrice Greta Gerwig è ben considerata dall’Academy e la visione femminista della storia è in sintonia con lo spirito del tempo. È fortissimo anche Killers of the Flower Moon, grande affresco che ricostruisce come i nativi americani sono stati uccisi da avidi bianchi allo scopo di impossessarsi dei loro diritti petroliferi: tuttavia, la percezione di flop (kolossal 200 milioni che Apple ha distribuito nelle sale raccogliendone più di 150) e la poca fortuna di Martin Scorsese con l’Academy (ha vinto un solo Oscar in mezzo secolo) sembrano indicare per il fluviale film un destino analogo a quello di The Irishman.
Ottimo posizionamento anche per Povere creature!, già Leone d’Oro a Venezia: i contenuti ci sono (l’autodeterminazione femminile e il delirio di onnipotenza maschile), le forme pure (fantascienza, grottesco, horror, commedia), Yorgos Lanthimos già attenzionato dall’Academy, il cast in rampa di lancio (Emma Stone e Mark Ruffalo su tutti). E anche Maestro di Bradley Cooper ha buone carte in mano, non solo per come interpreta il filone del biopic, ma anche per la storica passione dei giurati per gli attori che diventano registi e per la campagna promozionale di Netflix.
Gli outsider
La sorpresa dell’anno è l’indie romantico Past Lives, opera prima di Celine Song, sudcoreana naturalizzata canadese, che segue le vite di due amici nel corso di 24 anni: è forse il titolo più amato della stagione, così empatico – nonché inclusivo, il che non guasta – da mettere d’accordo tutti. Un film che scalda il cuore come The Holdovers, ritorno in grande stile di Alexander Payne (che ha in bacheca due Oscar per la miglior sceneggiatura), che racconta l’improbabile Natale del 1970 condiviso da uno scontroso professore, un ragazzo problematico e una cuoca con il figlio disperso in Vietnam (Paul Giamatti, Dominic Sessa e Da’Vine Joy Randolph puntano all’Oscar). E poi c’è la commedia satirica American Fiction, esordio di Cord Jefferson, premio del pubblico a Toronto (un tradizionale viatico per l’Oscar), che segue un frustrato intellettuale nero travolto dal successo per aver scritto un romanzo con tutti gli stereotipi black.
Anche May December di Todd Haynes sta funzionando più del previsto, un po’ per la storia spiazzante (un’attrice che fa ricerche su un’insegnante che ha sposato un suo alunno, adescato quando lui aveva dodici anni), per le performance (soprattutto Charles Melton, al momento capofila tra i non protagonisti) e per l’appoggio di Netflix che l’ha acquistato dopo Cannes. Qualche suggestione per The Iron Claw di Sean Durkin, sulla storia della dinastia del wrestling Von Erich, e per Priscilla di Sofia Coppola, che destruttura il mito di Elvis dal punto di vista dell’ex moglie.
Attenzione a Il ragazzo e l’airone: la rentrée di Hayao Miyazaki sta funzionando benissimo al botteghino, il maestro ha già ricevuto due Oscar (uno alla carriera) ma come lasciarsi sfuggire un’ulteriore occasione di celebrazione? E che dire di Spider-Man: Across the Spider-Verse? Il primo capitolo della saga vinse il premio per il miglior film d’animazione: il bis è plausibile, l’ingresso nella categoria principale meno, ma mai dire mai.
Europa europa
Tre europei in pole position. Difficile che l’Academy possa escludere Jonathan Glazer dalla gara: il suo La zona d’interesse ricostruisce il quotidiano del comandante di Auschwitz, che visse con la famiglia accanto al campo di concentramento. E cresce sempre di più Anatomia di una caduta, il legal thriller matrimoniale che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes e agli European Film Awards, non selezionato dalla Francia per l’Oscar al film internazionale, sostenuto dalla spettacolare interpretazione di Sandra Hüller (coprotagonista anche per Glazer: è il suo anno).
E Saltburn, opera seconda della britannica Emerald Fennell (Oscar per la sceneggiatura di Una donna promettente), acida satira della società inglese e thriller erotico sulla manipolazione (titolo forte di Prime Video). Poche possibilità per Estranei, straordinario mélo fantastico di Andrew Haigh, e chissà se il crudo period drama La società della neve dello spagnolo J. A. Bayona replicherà il blitz tedesco di Niente di nuovo sul fronte occidentale (Oscar per il film internazionale, in corsa per quello principale e man bassa nella categorie tecniche: Netflix ci crederà?).
game over?
Al ribasso le quotazioni di Il colore viola di Blitz Bazawule, versione musical del romanzo già adattato da Steven Spielberg che sembra più in partita per le attrici e le categorie tecniche, di Origin, che sembrava molto forte (le radici del razzismo in America, il carisma della regista Ava DuVernay) e invece sembra dimenticato da tutti, e di Air, brillante commedia di Ben Affleck sulla nascita delle note scarpe che forse sconta l’uscita primaverile.
Fuori dai giochi Asteroid City, Ferrari, Napoleon. E i dark horse (cioè i candidati inaspettati che arrivano al traguardo senza dare nell’occhio)? Non sembrerebbe l’annata, ma citiamo The Boys in the Boat di George Clooney, sulla squadra di canottaggio statunitense medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936, che ha un’uscita troppo vistosa per non destare sospetti sulle sue intenzioni (25 dicembre).