PHOTO
La fantasia può salvarci. Può sottrarci al mondo oscuro dell’insensatezza, può rapirci mentre siamo sopraffatti dal doveroso realizzare qualche cosa a tutti i costi; la fantasia è l’amico fedele che ci accompagna nell’altra stanza della vita, e ci mostra i giochi che con vergogna abbiamo abbandonato.
La fantasia da sempre è il motore dei cartoon, e verrebbe da dire che in particolare lo è per Il mio vicino Totoro del genio Hayao Miyazaki, realizzato nel 1988.
Visionario cineasta, Myazaky, ha saputo ricreare una composizione di inquadrature e di sequenze come se fosse un film girato con attori veri e in ambienti della realtà, invece il film è un cartoon, un fumetto. La prima cosa che colpisce del film è appunto la sua ricchezza di tagli e inquadrature, insolite per un film di animazione dove normalmente tutta l’azione si svolge pressoché su un paio di piani. Successivamente siamo travolti dalla bellezza pittorica: ogni inquadratura è una immagine da appendere nelle nostre pareti: una natura lussureggiante, potente e nel contempo discreta e silenziosa abbaglia i nostri occhi. E poi la fantasia.
Nella storia appaiono dei personaggi che non tutti possono vedere: “i cerini del buio” o “corrifuliggine” spiritelli che vivono nelle vecchie case abbandonate, o altri spiriti bonari che vivono nei pressi di un grande albero, che è la dimora di Totoro, un incrocio tra un orso, una talpa o forse un procione: un misto di dolcezza, morbidezza e surreale confidenzialità.
Totoro è il custode della foresta e vederlo non è un privilegio concesso a tutti. Forse quell’animale misterioso possono vederlo solo i bambini o i grandi che hanno conservato un pezzetto di cuore che batte forte e irregolare come quello dei bimbi.
Totoro accompagnerà, sosterrà e aiuterà le due ragazze protagoniste della storia, in particolare Mei, la più piccola; le due sorelle infatti si sono trasferite in campagna per poter più agevolmente andare a trovare la loro mamma ricoverata in ospedale.
Un giorno la più piccolina decide di fare da sola e con il desiderio di portare alla mamma una pannocchia di mais si avventura da sola per la campagna ed inevitabilmente si perderà. A realizzare un lieto fine provvederà Totoro, e la pannocchia di mais lasciata lì sul davanzale della finestra, insinuerà un sospetto alla mamma, il sospetto che per comprendere la realtà ci vuole la chiave della fantasia.