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Andrej Tarkovskij. Il cinema come preghiera © LAB 80 FILM
Fa differenza vedere un film da soli o in compagnia?
Eccome! Provate a vedere Shining da soli: resistereste solo per pochi minuti.
Certi film hanno bisogno, oltre che di una coca cola e dei popcorn, anche di una mano da stringere al momento del bisogno.
Poi ci sono film che uno se li vede da solo e quando finisce gli viene voglia di dirlo agli amici e di rivederlo assieme a loro: è il caso di Il cinema come preghiera di Andrej A. Tarkovskij sul padre, geniale regista sovietico. Qui si porrebbe un’altra domanda e cioè se un documentario, quale è il lavoro summenzionato, è da considerarsi film a tutti gli effetti oppure no, ma due domande così urticanti non riescono a trovare soddisfazione nello spazio di questa umile rubrica; certo verrebbe da dire che ogni qualvolta si usano spezzoni di film o interviste del regista sovietico, misteriosamente e miracolosamente, tutto si trasforma in grande cinema e la domanda su come classificare il lavoro evapora.
Vi faccio un’altra confessione: Il cinema come preghiera l’ho visto un tardo pomeriggio sul computer. Lo so che questa ammissione si porta un’altra domanda: dove è giusto vedere i film? In sala! Risponderebbero senza esitare i sovranisti da festival. Anche in televisione, direbbero candidamente tutti quelli che non hanno mai partecipato ad un Cineforum. Ma è più comodo al computer o sull’iPhone sentenziano quasi rappando gli under 18.
A mia discolpa posso dire che lo schermo del computer era molto grande e la definizione in Full Hd. Ero solo, e le immagini scivolavano morbide e dense come un fiume placido; e piano piano si arriva a percepire che cosa vuole dire Tarkovskij quando parla della necessità di ringraziare per essere al mondo.
La sua natura, il suo misterioso fluire, la sua lirica presenza diventano l’oggetto del nostro stupore. I visi, i corpi degli attori che magicamente diventano tutti noi stessi, diventano tutti gli uomini e le donne del mondo, diventano il nostro specchio in cui vedere tutta la fragilità e la dignità di ogni miseria. Quando Tarkovskij dice che il suo cinema non avrebbe quasi bisogno di storie, si comprende il significato del titolo.
Tutto deve essere preghiera e quindi anche il suo cinema, l’arte si deve porre la domanda sull’uomo, sul significato spirituale del suo mistero, ecco perché tutto si trasforma in preghiera, anche pulire le briciole dal pavimento, anche redigere una mail, anche fare cinema, in un qualche modo tutto va santificato e sacralizzato.
Vi sarà chiaro che ai titoli di coda se ci fosse stata una mano da stringere e da unire in preghiera sarebbe stato molto più bello.