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Je vous salue, Marie
“En ce temps là” annuncia un cartello che si ripete reiteratamente nel film, un’antifona irregolare che non introduce nulla, ma ti immerge in un clima di religiosità biblica. Irregolarità peculiari dello stile di uno degli inventori della Nouvelle vague, Jean-Luc Godard, caratterizzato da suoni interrotti, disturbati, innaturali, in un continuo e asincrono in e off. I tempi sono recenti: la Ginevra degli anni Ottanta, fotografata nell’anonimato delle sue periferie e di un lago riconoscibile solo per le targhe delle automobili.
Premiato a Berlino, Je vous salue, Marie compie quarant’anni. In Italia fu accusato di blasfemia poiché toccava il dogma dell’Immacolata concezione di Maria. Il regista affronta un tema estremamente delicato per la profonda considerazione teologica della Chiesa cattolica e per la devozione della tradizione popolare. La provocazione arrivò forte e determinò azioni di riparazione clamorose. Partiamo subito dissolvendo ogni ombra di dubbio. Je vous salue, Marie è una rappresentazione del “Vangelo secondo Godard”, una interpretazione personale del regista di formazione calvinista.
Il film narra di una ragazza che gioca a volley amata follemente da Giuseppe, disposto a tutto pur di stare con lei, persino di subire i violenti ammonimenti di un arcangelo Gabriele sui generis arrivato in aereo per annunciare la gravidanza verginale di Maria e suggerire a Giuseppe di trattarla con rispetto e sacrificio. “Non conosco persona”, risponde la ragazza, espressione consapevole di verginità e di desiderio di amore di cui non ha visto che “l’ombra di un’ombra”. Per cercare il suo cammino di madre, Maria dovrà essere dura, forte, oltre che pura. Ma all’amore non ci si rassegna, provenga da Dio o da un ostinato fidanzato il quale accetterà di sposarla nonostante l’arcano della gravidanza.
Maria da sempre ha desiderato che qualcosa di importante le sconvolgesse la vita. Il concepimento verginale, attestato da un incredulo ginecologo e accettato da Giuseppe, sempre più disposto alla castità per amore, è l’avvenimento atteso. Ma allo stesso tempo è insopportabile perché le rende la vita tumultuosa e insofferente per le pulsioni del giovane corpo che però deve spegnere come adesione a una proposta che l’ha resa “serva” suo malgrado. “Io sono la vergine”, dirà una volta realizzata la sua maternità, “ma la mia non è stata una scelta”. Ciò, però, non le ha impedito di fortificare la sua anima per esserlo. Anzi, la maternità cosciente la rende più donna, più generosa e più aperta, al punto di ritrovare la sua femminilità più matura.
Giuseppe, da parte sua, trasformerà la sua ostinazione in una paternità disponibile, lavorando sulle passioni e le reazioni emotive (i “difetti”) che Gabriele e la bambina che l’accompagna, avevano annotato su un taccuino prescrivendogli di perfezionarle. Anche Maria lo aiuta a rispettare il corpo femminile davanti alla sua nudità di donna gravida (si veda la mano che tenta di toccare il ventre nudo della donna e i ripetuti no di lei) o a comprendere le “stranezze” di un figlio che deve occuparsi “delle cose” di un Padre invisibile e al quale finisce per sostituirsi putativamente.
Nel film appaiono altri due personaggi che non incrociano Maria. C’è solo un fugace contatto con Giuseppe che di professione fa il tassista, e perciò li accompagnerà alla stazione. I due sono una giovanissima ragazza, dal nome evocativo di Eva, e un professore, studioso delle teorie delle origini del mondo. La loro storia è parallela a quella di Maria e Giuseppe. La loro è una relazione scaturita dal fascino della conoscenza, e si esaurisce al momento in cui viene raccolta la femminilità in fiore della giovane e ricca studentessa, sedotta dal fascino delle teorie sulla vita terrena del dotto professore.
Un legame che si estingue dopo aver consumato il frutto del tradimento, denotato dalla mela il cui significato rimanda ai primi capitoli della Genesi. Concomitanza che non è per nulla secondaria poiché permette al regista di manifestare il suo pensiero sulle origini del mondo e dell’uomo. Tutto si manifesta come un tradimento tra un uomo e una donna a indicare quello tra gli esseri viventi e l’“Intelligenza ordinatrice” il cui amore, fortemente generativo, “ha voluto, desiderato, previsto, ordinato e programmato la vita”.
Visto a quarant’anni di distanza, e con distacco critico adeguato, Je vous salue, Marie è un film in cui si esprime l’intensa riflessione personale di un autore il cui pensiero e la cui proposta si sono spinte al limite della sfida. La reazione avrebbe senso quando la provocazione si fa volgare, quando non ha radici culturali e religiose, quando utilizza i temi sacri gratuitamente, con superficialità o peggio con disprezzo. Le Mépris è il titolo di uno dei film più iconici di Godard che ha contribuito a modernizzare il linguaggio cinematografico. In entrambi la corporeità femminile è l’enzima della vicenda. In comune hanno il missaggio disarticolato di immagini e suoni di forte carica simbolica, e la pudica corporeità delle rispettive protagoniste.
L’autore francese vi esplora il rapporto tra anima e corpo, passionalità e purezza, campi che sconfinano sull’orizzonte assoluto della relazione tra trascendenza e immanenza, spiritualità e materialità, consapevole di quanto difficile continui a essere la loro integrazione nel pensiero contemporaneo. L’indagine che interessa a Godard è quella che si fonda sulla prima parte della preghiera dell’Ave Maria; la seconda non l’attira né gli appartiene, poiché propria della devozione cattolica nella quale non si riconosce perché educato nella tradizione calvinista la cui mariologia non accoglie tutte le verità di quella cattolica alla quale invece siamo stati educati noi.