Che il film abbia dato una versione unilaterale di una pagina di storia socio-religiosa dell’Irlanda degli anni Sessanta senza dare spazio alla dialettica delle differenti tesi e posizioni è un dato di fatto. Ma è un dato di fatto che non deve essere sminuito come giustificante delle colpe di cui puntuali porzioni di cattolici si sono macchiati in alcune zone del mondo con comportamenti che mancano alla carità, base dell’identità e della missione della Chiesa. Si eviterebbe così qualsiasi facile liquidazione di eventi scomodi in cui si è rivelata la fragilità umana dei religiosi e delle religiose, nonché della loro effettiva responsabilità.

La storia può chiedere il conto, ma può mettere anche di fronte all’integrità della testimonianza di una moltitudine di credenti che con la vita hanno mostrato fedeltà al vangelo e alle sue esigenze di amore per l’umanità. La parte non è il tutto. Il film comunque contiene in sé l’utilità della verifica che stimola la consapevolezza e l’urgenza di rinnovarsi come sincera volontà di conversione. Del resto, Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo del 2000, ha avuto il coraggio di esprimere l’universale richiesta di perdono per le contro-testimonianze che hanno deturpato il volto della Chiesa.

Fatta questa necessaria premessa ci soffermiamo sull’opera con cui Peter Mullan, attore di mestiere che ha lavorato con Ken Loach, ha vinto il Leone d’Oro nel 2002 al Festival di Venezia e il premio come migliore regista esordiente: Magdalene.

Magdalene
Magdalene

Magdalene

(Webphoto)

La vicenda si svolge nella Contea di Dublino tra il 1964 e il 1968. Protagoniste tre ragazze che per differenti ragioni sono state internate in una Magdalene House dopo il ripudio o l’abbandono delle rispettive famiglie. Margareth, violentata dal cugino e incolpata di qualcosa che non ha commesso. L’orfana Bernadette, bella, ma non vanitosa, che attira lo sguardo dei ragazzi e dei superiori che la ritengono una tentatrice, seduttrice di ragazzi. E Rose, mamma bambina, che ha avuto un figlio fuori dal matrimonio, perciò le viene strappato e dato in affido a una “famiglia degna”, per lavare la vergogna della sua famiglia.

Tre storie in un prologo in cui si mette in scena il dramma di una colpa più grande del fatto stesso. Ragazze prede ignare e inermi della voluttà maschile, rinnegate senza appello e segregate senza pietà né misericordia, da una società accecata da una regola che per convenzione e tradizione le condanna in nome dell’onore che hanno disonorato. Inizia per loro un tempo di sottrazione della libertà, di spegnimento del rispetto della dignità, di oscuramento della loro femminilità. È un sopruso continuo subito quotidianamente insieme ad altre donne molte delle quali sono invecchiate tra le mura di quella orribile casa perché responsabili di colpe di cui invece erano vittime, o per il fatto di essere belle o al contrario brutte, e perciò di disturbare. Lo scorrere del tempo in quell’asilo che avrebbe dovuto essere luogo di accoglienza e di riparo, si rivela un inferno di sfruttamento e umiliazioni, di angoscianti vessazioni e di sfruttamento economico.

Magdalene
Magdalene

Magdalene

(Webphoto)

“Quelli nella nostra lavanderia non sono semplicemente abiti e lenzuola”, dice suor Bridget, direttrice della Magdalene Laundrie, mentre conteggia e conserva i guadagni della giornata: “Sono i mezzi terreni con cui mondare la vostra anima, con cui cancellare le macchie dei vostri peccati che avete commesso. Qui potrete redimervi e a Dio piacendo salvarvi dalla dannazione eterna”. La misericordia che avrebbe dovuto caratterizzare la missione di quelle religiose è tradita, sparita, uccisa. Lo stile è più da carcere che da casa di misericordia. “Tutti i peccati mortali del mondo non giustificano questo posto”. Le suore appaiono come schiaviste e sfruttatrici; hanno perduto la maternità spirituale scegliendo di servire avidamente “mammona”. Travisano il senso della pietas cristiana che è compassione ed è anche giustizia che sa riconoscere e rispettare la dignità dell’altro. Dovrebbero ragionevolmente aiutare a risollevarsi dagli sbagli…

Maddalena è stata perdonata e non punita con la privazione d’amore. Stupisce che tutto questo sia vissuto in solidum, senza che nessuna delle religiose, mossa dal buon senso o dalla pietà, intervenga per ripristinare la carità. Ma colpevoli non sono solo le suore, ma anche i padri e le madri naturali i cui legami e doveri di amorevolezza sono stati sacrificati all’altare dell’onore e dell’opinione altrui. E lo sono anche i sacerdoti a cui è delegata l’azione di ripristinare l’ordine e l’onore con affidi “fruttuosi”. In questo clima di perdizione impressiona la protesta di Crispina, forse la vittima più indifesa tra le ragazze, che ha il coraggio di gridare a chi abusa di lei di non essere “un uomo di Dio” provocando l’imbarazzo di chi sa che dice la verità.

Magdalene
Magdalene
The Magdalene Sisters (2002 UK/Ireland) Directed by Peter Mullan Shown: Nora-Jane Noone (as Bernadette) (Miramax/Photofest)

Da segnalare due sequenze costruite con la competenza narrativa del linguaggio cinematografico: l’autospogliazione dei paramenti sacri del prete abusatore per lo scarnificante prurito prodotto dall’erba urticante con cui è stata lavata la sua biancheria, una punizione apocalittica; e il passaggio di sguardi e interlocuzioni spente dall’assordante musica ritmata dal bodhrán. Una sequenza, quest’ultima, costruita sul gioco di sguardi, tutti in primo piano, tra la giovane ragazza, la sorella, il violentatore, il padre, la madre, il prete, sul crescendo del tradizionale tamburello e della cornamusa gaelica che coprono le parole, ma la cui evidenza arriva alla condanna ingiusta: la colpevole è lei che ha irretito il cugino.

“Che abbiamo fatto di male per meritare questo? Non siamo schiave. Non siamo storpie. Che abbiamo fatto?” Impressiona il fatto che nonostante tutto, nessuna di quelle ragazze ha perso la fede in Dio, nonostante le testimonianze contro la carità sono andate oltre l’esigenza di amore per l’umanità in tutte le sue declinazioni che il vangelo chiede comunque al credente.