La mala educación non è una resa dei conti con la Chiesa
Il film di Pedro Almodóvar porta in sé l’immensa metafora del mistero del male. E, oltre alla denuncia, dà spazio a una riflessione sulle manifestazioni della religiosità
Compie vent’anni La mala educación
di Pedro Almodóvar. Il film, del 2004, si ispira a un breve e “furioso” racconto dal titolo
La visitascritto nel 1973 per rivalersi dell’educazione ricevuta dai preti. L’esperienza del collegio salesiano dove il giovane Pedro studiò per oltre tre anni gratuitamente nella prospettiva di diventare religioso (era prassi dell’epoca in Spagna e in Italia, diede corpo alla storia in cui la parte collegiale riprende elementi della tradizione (feste, partita preti e allievi, canti, coro) e dell’iconografia salesiana (l’Ausiliatrice). Su questa storia del collegio Almodóvar lavorò per vari anni ampliando l’episodio e convertendolo in una delle parti portanti del film.
L’idea originale de
La visita
si moltiplicò nelle tre
visitasde
La mala educación
: l’originaria di Ignacio/Zahara a padre Manolo che diventerà il film nel film; quella del camaleontico Ángel/Juan a Enrique che mette a fuoco il complicato rapporto tra l’attore e il regista; e infine, quella di Berenguer, padre Manolo spretato e invecchiato, sul set cinematografico dove incontra Enrique, il regista (
alter ego
di Almodóvar), suo ex-allievo, che allontanò dal collegio per l’amicizia speciale con Ignacio. A lui confessa la sua relazione complice e passionale con Ángel/Juan sino al delitto del tossico e derelitto Ignacio. Questa la struttura di un film difficile e tormentato.
Un complicato labirinto di slanci cupi e oscuri, pieno di cattivi desideri e passioni, un intreccio intricato di anomalie in cui persino l’ambiente luminoso di luce mediterranea si corrompe mascherando impulsi insani e ambizioni perverse.
Pasionese
deseosdestinati a disturbare o annichilire relazioni e sentimenti altrimenti essenziali e puri come la fratellanza e l’amore, l’amicizia e il rispetto, e l’educazione.
La mala educación
è un film tutto al maschile, costruito a frammenti/situazioni su tre assi temporali: fine anni ’60, gli anni del collegio in cui i protagonisti erano ragazzini in epoca franchista; fine anni ’70, in pieno avvio della
Transición
; e gli ’80, gli anni della
Movida
e dei governi socialisti. Il film però ha bisogno di continue didascalie per
contenere i continui sbalzi temporali dell’intreccio. Il film, ha ripetuto il regista, non è una resa dei conti con la Chiesa né con i salesiani, colpevoli di averlo maleducato e di avergli spento la fede.
Il tema della pedofilia è centrale. Senza ombra di dubbio alcuno, l’abuso sessuale su un minore da parte della supposta autorità morale di un sacerdote o maestro che sia, è già di per sé copiosamente esecrabile, ripugnante, da condannare senza possibilità di appello. Ma in questo film ci sono altri sviluppi ambigui e spregevoli come la corruzione dell’amicizia e dell’amore; la de-generazione dell’affetto familiare che ri-genera la morte di Abele per mano di Caino, un Abele alterato dal degrado e dall’insoddisfazione, dalla mancanza di “amore per se stesso” e perciò incapace di amare l’altro. La stranezza che emerge è che le figure centrali, educatori ed educati, (fatta eccezione di Enrique) vivono l’ossessione di una potente passione erotica omosessuale e sono rappresentati in modo crudo.
Sembra che il regista getti un giudizio negativo sulla condizione omosessuale in una paradossale contraddizione con il suo stesso pensiero e con la convinzione oggi diffusa che l’omosessualità è una scelta o una condizione naturale e non il frutto di un trauma. A risultare maleducati sono i sentimenti che non riconoscono il bene dell’altro, e neanche il proprio, perché concentrati sull’interesse e il possesso. Manca un’educazione all’affettività, poiché i desideri se non formati possono anche distruggere. La cattiva educazione dei sentimenti produce i danni della pedofilia, anche tra uomini di Chiesa, femminicidi, anche in seno alle famiglie - luoghi naturali del rispetto e dell’amore - e altre tragedie, troppo spesso alla ribalta della cronaca.
La pedofilia dei religiosi e
la mala educación
non sono i soli temi centrali del film. Vi si trova un ventaglio di argomenti che spaziano su varie tematiche amalgamate dalla splendida musica di Alberto Iglesias. C’è una riflessione sulla fede e sulle manifestazioni della religiosità; sul peccato e il senso di colpa; sul dolore, la sofferenza e la morte; vi è descritta la cattiva fratellanza, la manipolazione, l’aspirazione alla realizzazione del desiderio di potere, la carica fatale o salvifica delle passioni; e ancora la menzogna e la vita come menzogna, come recita, come parte da interpretare, maschere da indossare, ruoli per interagire. Juan/Ángel/Zahara le veste e interpreta tutte, amante, figlio, fratello, manipolatore, protagonista, antagonista, assassino, fratricida, omosessuale, eterosessuale, marito, amico, compagno, ecc.
Una esasperazione delle maschere pirandelliane, della vita come spettacolo in cerca di autore e di senso, degli uno, nessuno, centomila… nella forma esageratamente barocca ed eclettica dello stile almodovariano. Il regista nel pressbook del film afferma: “ La mala educación è l’opposto di un film di buoni e cattivi. \[…\] io non giudico i personaggi, facciano quello che facciano; il mio lavoro consiste nel “rappresentali”, “spiegarli nella loro complessità” e ottenere con tutto questo uno spettacolo divertente... Non è bene per il film \[…\] che il regista giudichi i suoi personaggi nonostante compiano cose atroci”.
L’autore però li rappresenta con azioni e pensieri manifesti, indubitabili, che non hanno bisogno di sforzi di interpretazione. Anche questa rappresentazione ha un significato evidente a indicare la cattiveria, la perversione, la mostruosità: in fondo non viene salvato nessuno. Per cui dire che non stabilisce dove sta il bene e dove il male è un azzardo o una avventatezza.
Se il film avesse sviluppato il solo tema degli abusi dei religiosi, avrebbe contribuito con la sua denuncia dolorosa e lacerante alla riflessione su un tema di scottante e sconvolgente attualità, contribuendo, seppur condannando, alla comprensione di un aberrante fenomeno che ha irrimediabilmente prodotto danni e distrutto vite e reputazioni. La sola a chiedere comprensione e a dare compassione su questi personaggi, molti dei quali famelici di passioni malate, è la madre di “Caino e Abele”, unica figura femminile importante, portatrice di buoni sentimenti.
Il film porta in sé l’immensa metafora del mistero del male, l’enigma della perversità umana, l’inferno come dimora naturale di questo mondo. Non c’è miracolo in questo film profondamente pessimista, non c’è finale felice. Il
deus ex machina
delle tragedie almodovariane riposa stanco, o dorme.