PHOTO
Steve Carell con il Golden Globe vinto nel 2006 (Webphoto)
Grossi cambiamenti (e grosse polemiche) per la Hollywood Foreign Press Association, che ha ceduto i diritti di proprietà relativi ai Golden Globes alla Dick Clark Productions e alla Eldridge di Todd Boehly. Questo significa che Jay Penske, amministratore delegato della Dick Clark Productions, potrà gestire direttamente questo premio, negli ultimi anni in crisi per certe scelte dei suoi responsabili, ma che potenzialmente rimane un marchio importante e che dà vita alla seconda cerimonia di premiazione cinematografica (ma anche televisiva) più seguita negli Stati Uniti. Insomma, niente più HFPA come la conosciamo.
Ma chi è Jay Penske e perché la mossa crea tanto disagio? Beh, perché i conflitti di interesse (neanche potenziali, ma molto reali) sono enormi. Va ricordato infatti che Penske è diventato in questi anni il proprietario delle maggiori realtà trade, ossia Deadline, The Hollywood Reporter, Variety e Indiewire. Significa che chi vuole puntare alla stagione dei premi, dovrà investire pesantemente su questo editore, che però gestirà anche il secondo premio più importante della stagione.
Ora, per carità, i Golden Globes sono diventati famosi nei decenni per una spiccata propensione a premiare chi “trattava bene” i propri giurati e magari li riempiva di visite in set (e città) prestigiosi, così come regali costosi e tanti altri benefit. Il caso più famigerato è sicuramente quello di Pia Zadora, ma anche di recente aveva lasciato molto perplessi la decisione di dare due candidature (come miglior serie comica/musical e per la protagonista, Lily Collins) a Emily in Paris, casualmente dopo che diversi giurati erano stati portati a Parigi, rispetto ad altri titoli molto più meritevoli, come I May Destroy You di Micaela Coel.
E, nel 2021, i Globes erano finiti nella bufera per la loro totale mancanza di inclusione, che nel caso specifico significava non avere neanche un giurato di colore. Ma d’altronde, visti i vantaggi di far parte dell’organizzazione, era nell’interesse di tutti i giurati non aumentare il numero dei loro colleghi, al di là delle specifiche etnie.
Ora però si sale decisamente di livello, visto che Penske ha creato una sorta di monopolio di questa industria dei premi (che, secondo alcune stime, vale circa 200 milioni di dollari all’anno). Se non si accettano le sue condizioni economiche, diventa praticamente impossibile fare campagne importanti e che possano avere successo. Ed è pensabile a questo punto vincere un Golden Globe senza promuovere i propri candidati sulle realtà editoriali di Penske? Peraltro, da chi dovremmo avere delle informazioni obiettive su un accordo come questo, se i maggiori trade sono di proprietà di chi ha realizzato questo accordo?
David Poland, nella sua newsletter, sostiene che ogni membro della HFPA sia stato pagato complessivamente 300.000 dollari per farsi da parte (qui è impossibile sapere quali siano le fonti e quanto attendibili, ma la cifra sembra ragionevole).
Inoltre, Poland ritiene che Penske possa chiudere un accordo (magari di un paio di anni) con qualche televisione importante, anche a un costo ridotto, per poter comunque sfruttare la grande visibilità fornita e ottenere grossi ricavi pubblicitari in merito. Certo, i Golden Globes non attireranno più i 20 milioni di spettatori statunitensi che erano arrivati a fare una decina di anni fa, ma anche così stiamo parlando di un appuntamento interessante per un canale televisivo.
In tutto questo, peraltro, bisogna anche ricordare come il Fondo di investimenti pubblici dell’Arabia Saudita sia entrato in passato nelle realtà di Penske con l’importante cifra di 200 milioni di dollari, altro motivo di preoccupazione per l’indipendenza di certi media rispetto a una nazione che vuole sicuramente migliorare la sua immagine, ma che in questi anni è stata al centro di grosse polemiche (a cominciare dall’omicidio di Khashoggi).
Insomma, per ora l’unica cosa certa, è che i Golden Globes continueranno a far discutere. E sempre per i motivi sbagliati…