Ad Enrico Berlinguer, in occasione del quarantesimo anniversario della morte, sono stati dedicati libri, mostre e documentari, e siamo in attesa di vedere il film di Andre Segre alla Festa del Cinema di Roma.

Il segretario comunista è, per molti versi, diventato il simbolo di una “buona politica”, da ricordare con nostalgia, e da contrapporre alla desolante “cattiva politica” del tempo presente. Non senza forzature del tutto anacronistiche: Berlinguer è stato talvolta presentato come l’antesignano di Tangentopoli, per la sua insistenza sulla “questione morale”, o addirittura come il profeta dell’antipolitica.

Se oggi registriamo la centralità di questa figura nello spazio mediatico, quale fu negli anni della sua segreteria (1972-1984) il rapporto di Berlinguer ebbe con il cinema e i mass media? Il leader sardo non si occupò mai direttamente delle questioni cinematografiche, pur essendo uno spettatore di film curioso e appassionato. La sua politica però poté giovarsi, da un lato, di un’indubbia egemonia dei comunisti nel campo cinematografico, anche se i registi iscritti al Pci non erano poi così tanti. E questo perché il Pci era il principale partito di opposizione e il cinema italiano, “d’autore” o “di genere”, aveva proposto, fosse anche in chiave grottesca, una critica alle classi dirigenti e ai vizi storici degli italiani.

Angelo Palma/A3/contrasto
Angelo Palma/A3/contrasto
ENRICO BERLINGUER 1975 ***only available for editorial usage*** ***disponibile esclusivamente per utilizzo editoriale**** (Angelo Palma/A3/contrasto)

Un cinema che, almeno dal neorealismo in poi, fu il contributo italiano più importante alla cultura mondiale, sempre più “globalizzata”, della seconda metà del Novecento. Al fondo stava la scelta compiuta da Togliatti nell’immediato dopoguerra, di non dare vita a una cinematografia “targata Pci” ma di portare i contenuti della politica comunista all’interno del cinema mainstream.

Allo stesso tempo, Berlinguer poteva giovarsi di una ricca produzione cinematografica documentaristica e di propaganda, realizzata in primo luogo dalla società di produzione del Pci, l’Unitelefilm, a cui lavorarono molti importanti cineasti. Nel corso della prima metà degli anni ’70, l’immagine dei comunisti e di Berlinguer, che fino allora fuori dal partito era poco conosciuto, cambiò in positivo e questo non si registrò soltanto nel cinema “d’impegno” ma anche in quello cinema popolare. Il tono mutò grazie all’inaspettato carisma del segretario, la cui “serietà” e sobrietà conquistò un crescente consenso in una società italiana che stava vivendo una crisi economica e politica.

Ovviamente un ruolo decisivo lo giocarono i successi politici degli anni 1974-76: la vittoria del no al referendum sul divorzio; le vittorie elettorali del 1975-76 che portarono il Pci ad amministrare la maggior parte delle grandi città italiane e molte regioni e al suo massimo storico con il 34,4%. D’altronde in Berlinguer ti voglio bene di Giuseppe Bertolucci, un film su un gruppo di “vitelloni” toscani, la foto del segretario comunista rappresentava una sorta di Super-io per il protagonista (Roberto Benigni), un modello inarrivabile, un’immagine sacra, come il crocifisso con cui dialogava Don Camillo.

Non furono comunque solo rose e fiori: la propaganda cinematografica berlingueriana faticò a rendere popolare tra i militanti e i simpatizzanti il “compromesso storico”, l’accordo con l’avversario trentennale del Pci, la Dc, che fu criticato violentemente da due capolavori cinematografici come Todo modo e Cadaveri eccellenti, entrambi tratti da Sciascia. Così come fu vissuta come una delusione la partecipazione alla maggioranza di governo negli anni 1976-79.

Berlinguer ti voglio bene
Berlinguer ti voglio bene

Berlinguer ti voglio bene

(Webphoto)

Le cose cominciarono a cambiare a partire dal 1977: la politica dei “sacrifici”, il movimento del 1977 e, soprattutto, l’offensiva del terrorismo rosso, culminata nel sequestro Moro, misero in discussione la linea del segretario comunista. Il quadro politico mutò poi radicalmente a cavallo tra gli anni ’70 e ‘80 (invasione sovietica dell’Afghanistan, “nuova Guerra fredda”, vertenza Fiat, ecc.) che videro l’inizio della “crisi comunista”, segnato dall’arretramento del Pci nelle elezioni del 1979. Fu allora che fu compiuta una piccola svolta. I dirigenti comunisti non avevano disdegnato il piccolo schermo, criticato spesso per la sua “americanizzazione”, ma mai rifiutato in quanto tale.

Nell’ultima fase della sua segreteria, infatti, si assistette a un tentativo consapevole, e a cui Berlinguer inaspettatamente si prestò, di cambiare l’immagine del segretario, di umanizzarla, di desacralizzarla e poi, per alcuni versi, risacralizzarla ma in un’altra chiave come un politico vicino alle persone.

Questo restyling è evidente nel filmato di Berlinguer con Benigni al Pincio del 1983 quando l’artista toscano lo prese in braccio, o come nell’intervista concessa a Minoli alla trasmissione Mixer. Allo stesso tempo le due principali svolte politiche furono annunciate dal segretario in diretta televisiva prima ancora che agli organi dirigenti del partito: il discorso sull’“alternativa”, nel novembre del 1980, che mandava in soffitta il compromesso storico; il cosiddetto “strappo” del 1981, dopo il colpo di Stato in Polonia, in cui dichiarò esaurita la “spinta propulsiva” della Rivoluzione d’ottobre.