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Quentin Tarantino (foto di Karen Di Paola)
“All’epoca i miei genitori andavano spesso al cinema e di solito mi portavano con loro. Avrebbero potuto piazzarmi da qualche parte (mia nonna Dorothy era quasi sempre disponibile), ma invece mi portavano con loro. [...] E se volevo partecipare alle cose da grandi, era meglio che non rompessi troppo i coglioni. In pratica dovevo evitare di fare domande cretine e capire che non ero il centro dell’attenzione. Gli adulti uscivano per parlare, ridere e scherzare. Il mio compito era starmene zitto e non interromperli in modo infantile. [...] In un certo senso ero un piccolo etologo che, anziché i grizzly, osservava gli adulti di notte, nel loro habitat naturale. Era nel mio interesse tenere la bocca chiusa e gli occhi e le orecchie ben aperti”.
Ed è così che, nel primo autobiografico capitolo di Cinema Speculation (La nave di Teseo, pagg. 528, € 20,00), scopriamo come, negli anni Settanta, il piccolo Quentin Tarantino abbia visto tanti film proibiti ai propri coetanei, tipo Il braccio violento della legge, M.A.S.H., Il padrino, Conoscenza carnale, Una squillo per l’ispettore Klute o Il mucchio selvaggio. D’altra parte, se mamma Connie (secondo cui il telegiornale era molto più dannoso per la crescita del pargolo) gli vietava qualcosa, era solo perché “non capiresti la storia. E non capendo la storia, guarderesti la violenza solo per il gusto della violenza. E questo non voglio che succeda”.
“Capire la storia” è il fulcro di Cinema Speculation, volume che non rappresenta un saggio sulla settima arte nel senso canonico del termine, bensì un’immersione nella stagione cinematografica che ha plasmato i gusti di Tarantino e che, per tale motivo, va discussa nel dettaglio al fine di capire perché certi film abbiano funzionato così bene e cosa, invece, abbia penalizzato altri (sempre – specifichiamo – nell’ottica tarantiniana).
Nel fiume impetuoso di pellicole citate e analizzate, tredici si guadagnano un capitolo monografico: Bullitt di Peter Yates (1968), Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! di Don Siegel (1971), Un tranquillo weekend di paura di John Boorman (1972), Getaway! di Sam Peckinpah (1972), Organizzazione crimini di John Flynn (1973), Le due sorelle di Brian De Palma (1973), Daisy Miller di Peter Bogdanovich (1974), Taxi Driver di Martin Scorsese (1976), Rolling Thunder di Flynn (1977), Taverna Paradiso di Sylvester Stallone (1978), Fuga da Alcatraz di Siegel (1979), Hardcore di Paul Schrader (1979) e Il tunnel dell’orrore di Tobe Hooper (1981).
Tanto nella lode quanto nella contestazione (le frecciate a Schrader non si contano), Tarantino non risparmia nulla ad attori, autori e critici (da seguire solo quando non riversano le proprie frustrazioni sulla pagina), svelando retroscena creativi e produttivi appresi da fonte diretta, fino ad arrivare alla “speculazione cinematografica” che dà il titolo al volume e che punta a rispondere a uno degli “e se?” cruciali del cinema americano anni Settanta, ovvero “e se Taxi Driver lo avesse diretto Brian De Palma?”.
Premessa la semplice motivazione per cui quest’ultimo rifiutò la sceneggiatura di Schrader (non la reputava abbastanza commerciale), Tarantino si diverte a immaginare (con piena cognizione di causa) quanto diversa sarebbe stata la discesa agli inferi del tassista alienato Travis Bickle in mano a un regista che, al contrario di Scorsese, non avrebbe provato alcuna empatia per il proprio protagonista, limitandosi piuttosto a osservarlo “nello stesso modo in cui Polanski osserva Catherine Deneuve in Repulsion” mentre si prepara a diventare un assassino politico. Inoltre se ne sarebbe infischiato dei parallelismi fra Taxi Driver e Sentieri selvaggi di John Ford (adorato da Scorsese), preferendo concentrarsi su quei virtuosismi tecnici destinati a diventare il suo marchio di fabbrica e orchestrando l’attentato come il ballo della scuola di Carrie (1976).
Per non parlare delle scelte radicalmente diverse in fatto di cast, dal momento che a De Palma “non gliene fregava nulla di avere Harvey Keitel nel film”. Né, tanto meno, avrebbe aspettato che Robert De Niro fosse libero. E, con tutta probabilità, avrebbe inserito anche il punto di vista di Betsy, magari affidandola a un’attrice come Nancy Allen o Amy Irving.
Conscio della propria capacità affabulatoria, Tarantino non sente alcun bisogno di impadronirsi delle parole altrui e, nel riportarle, dà sempre a Cesare quel che è di Cesare, dalle pillole di saggezza di Floyd Ray Wilson (che, da fidanzato della migliore amica della madre, diviene un regolare compagno di discussioni cinefile per il giovane Quentin, dato che “era un gran figo” e, “visto che di roba ne vedeva tanta, poteva stare al mio passo”) al fulminante giudizio su Siegel formulato da Neville Brand (reduce di guerra e protagonista di Rivolta al blocco 11): “Don è come Peckinpah. Entrambi hanno un gusto per la violenza ma sono i tipi meno violenti che abbia mai incontrato. Ci vogliono tipi così per capire la violenza. […] Dopo Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!, [Siegel] fu il chirurgo da campo che fa carriera e diventa rettore della Facoltà di medicina di Harvard”. Giustamente, Tom Shone ha definito Cinema Speculation una celebrazione sfacciata del “vizio del cinema”. E va benissimo così: Tarantino si ama (o si odia) proprio per questo.