PHOTO
Gabriele Muccino - Foto Karen Di Paola
Neri Parenti, Paolo Genovese, Roberta Torre, Piero Messina e Gabriele Muccino. Il cinema italiano si confronta con preoccupazione sulle potenzialità e i rischi delle nuove tecnologie applicate alla creazione dei film. I registi si sono ritrovati oggi presso il Castello Maniace di Siracusa all’interno del panel Direzione di marcia: dietro la macchina da presa, davanti al pubblico, la regia tra autorialità e mercato, quarto evento di giornata degli Stati Generali del Cinema in Sicilia in corso nel capoluogo isolano.
In apertura ha preso parola il regista di Perfetti sconosciuti, Paolo Genovese che si è detto “critico sull’intelligenza artificiale, perché credo sia l'antitesi del lavoro artistico. Il nostro mestiere è creare qualcosa di nuovo, questo sistema, invece, pesca in tutto ciò che è stato già fatto per replicarlo. La sensazione è che l’Intelligenza Artificiale possa fare un buon film già visto, non certo un capolavoro”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Gabriele Muccino: “Non penso che riesca a scrivere un film come lo scriverei io, ci ho provato anche ma i risultati sono stati deludenti. Penso rappresenti una grandissima forma di collaborazione per noi, e in qualche caso ruberà il mestiere a qualcuno, per esempio è ideale nella ricerca della location perfetta che è compito degli scenografi. Insomma, siamo di fronte a una specie di seconda Rivoluzione industriale e non sappiamo ancora quando terminerà”.
Roberta Torre ha voluto fare un distinguo sul ragionamento del collega: “Sta succedendo una rivoluzione, è vero, ma dovrà fare i conti col mercato produttivo. Sul piano ideologico e filosofico, sono questioni enormi che si discutono da secoli: siamo terrorizzati dall’idea che una macchina ci possa sostituire. Per la prima volta nella storia del cinema ci troveremo a fare i conti con qualcosa che non è umano. Non a caso in America c’è stato l’Hollywood Strike, in cui gli sceneggiatori si sono opposti all’idea della totale colonizzazione dell’intelligenza artificiale”.
Piuttosto frustrato sulle potenzialità si è detto anche Neri Parenti: “Abbiamo già talmente tanti e tali paletti da rispettare che ora, se ci si mette pure questa tecnologia a giudicare un lavoro per un progetto , il nostro lavoro si fa molto duro”.
Piero Messina è invece la classica voce fuori dal coro: “A me non preoccupa la tecnologia non in sé, ma i cambiamenti che innesca, che sono molto più veloci della nostra capacità di metabolizzarli. Girando Another End ne ho discusso molto. Quando ho girato il film, anche i ciak scartati di un’attrice con un accento inglese non perfetto, mi sono stati proposti ridoppiati da una macchina: il risultato era migliore di quello che avevo girato, l’accento era perfetto. In quel caso abbiamo deciso di non procedere, ma c’è un’opportunità artistica enorme, e noi non stiamo guidando ma subendo il cambiamento”.
L’uso degli algoritmi nelle piattaforme è un caso concreto di applicazione dell’intelligenza artificiale. Una pratica produttiva ormai sdoganata per prodotti seriali, ma che non trova entusiasti i nostri registi. Muccino: “Il cinema ha sempre cercato di inscatolare uno schema vincente per portare gente in sala, oggi ci sono gli algoritmi ma le transizioni sono inevitabili, come nel passaggio dal muto al sonoro. La fruizione nelle piattaforme ha creato, per esempio, una dilatazione dei tempi cinematografici prima impensabile. – continua il regista di A casa tutti bene – Oggi i film che hanno tempi più dilatati sono non casualmente le opere che hanno richiamato in sala più pubblico, come, di recente, Perfect Days, Past Lives o Il ragazzo e l'airone, tre opere che anni fa sarebbero stati relegati nel cinema d’essai”.
Disagi con le piattaforme anche per Neri Parenti “hanno sposato completamente il politicamente corretto, quindi i miei film, che sono scorretti sono visti con sospetto, sono stato marchiato per il mio passato. C’è tutta una produzione media che adesso non si fa più che per tanto tempo è stata la linfa del cinema, commedie come le mie avevano un senso anche per finanziare altri tipi di film. Adesso ci sono troppe persone che mettono bocca sul processo creativo, i miei colleghi qui presenti hanno fatto film bellissimi senza bisogno dell’algoritmo”. Gli fa eco Messina: “eseguire acriticamente le regole di un algoritmo, è un processo frustrante. Una tecnologia che su migliaia di calcoli permette di monitorare perfettamente l’esperienza della visione, ma a volte manca la possibilità di discutere, litigare anche con un produttore per girare una scena”.
E Paolo Genovese aggiunge: "Hai sempre davanti persone estremamente competenti, sono degli scienziati della narrazione che usano dei metodi molto rigorosi. A me, però, fa paura il rendere scientifico e oggettivo questo lavoro, decidere prima ciò che al pubblico può piacere o no”.
Nei rapporti con Amazon Prime, Netflix e gli altri colossi dell’intrattenimento home video, invece, Roberta Torre ha notato la “tendenza a cercare la razionalizzazione qualcosa che invece può spaventare. Ma nelle piattaforme il linguaggio non cambia molto. Sono sperimentazioni che vanno resi complementari fermo restando che il cinema è la base”.