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Smetto quando voglio (Webphoto)
La pubblicazione del Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026 ha sollevato un vivace dibattito all’interno dell’industria audiovisiva, in particolare in riferimento all’art. 14 (Tax credit cinema). In sostanza il governo, già prima di presentare il disegno di legge, aveva fatto cenno alla decisione di intervenire sull’attuale normativa che regola il sistema (c.d. Legge Franceschini), operando alcune modifiche anche in riduzione dell’impegno statale complessivo. Solo sulla base di queste voci si è scatenato l’inferno.
Da una parte i difensori a oltranza del sistema, che ha visto lievitare considerevolmente negli ultimi anni le risorse ad esso destinate, dall’altra i propugnatori di un correttivo che non intende soltanto operare un taglio dei fondi per destinare quel risparmio — eventualmente — ad altri impieghi, ma vuole riequilibrare l’intervento secondo determinati principi. I “conservatori” si appellano ai benefici macroeconomici generati dagli incentivi, invocando gli immancabili “moltiplicatori” di keynesiana memoria e tacciando l’attuale governo di inimicizia verso la collettività “cinematografara”, tipicamente — ma non uniformemente — orientata a sinistra, mentre i “riformatori” governativi intendono razionalizzare il sistema per ovviare a una serie di distorsioni da più parti evidenziate. Procediamo con ordine.
In relazione al tax credit, ci limitiamo qui a trattare principalmente quello destinato alla produzione, trascurando l’analoga misura fiscale dedicata alle altre componenti della filiera (distribuzione ed esercizio). Inoltre, è opportuno inserire la discussione su questa forma d’intervento collocandola all’interno di un sistema di supporto più generale. Il credito d’imposta al settore audiovisivo è l’ultimo arrivato fra gli strumenti adottati dallo Stato a supporto del sistema, dettato da principi culturali (libertà di espressione) e industriali (irrobustimento e protezione della produzione nazionale rispetto alla concorrenza straniera).
In realtà, il tax credit è una delle tre gambe su cui poggia attualmente l’intervento statale. Le altre due sono i contributi selettivi e quelli automatici. Le tre linee d’intervento sono nate per funzionare in parallelo e con diversi scopi di stimolo al mercato: i contributi selettivi per la qualità, gli automatici per premiare il merito, il tax credit per attrarre investimenti e consolidare la posizione creditizia e negoziale delle aziende. Queste tre linee devono funzionare insieme o si creano storture.
Negli ultimi anni si è puntato in massima parte sul credito d’imposta, aumentandolo a dismisura a discapito delle altre linee. Se andiamo a guardare le ultime statistiche rilasciate dalla DGCA, riferite al 2022, vediamo che, per quanto riguarda i contributi selettivi, si passa dai 94,8 milioni di euro del 2004 ai 15,9 del 2020, che diventano 19,7 del 2021 e 26,3 milioni del 2022. Il valore del c.d. “tax credit interno alla produzione” passa dai 10,3 milioni iniziali del 2009 a 175,35 milioni del 2022. I “reinvestimenti automatici” nel 2022 sono stati solo 4,75 milioni. Il riconoscimento di questi ultimi, a detta degli osservatori, è in forte ritardo e i selettivi portano anch'essi ritardi nei pagamenti e nell’apertura delle finestre per i bandi.
Se ai 175,35 milioni di tax credit per le opere cinematografiche aggiungiamo i “crediti d’imposta richiesti per la produzione” dei progetti audiovisivi, pari a 239,55 milioni, per il 2022 abbiamo un totale di 414,9 milioni di euro. Aggiungiamo il credito d’imposta richiesto nel 2022 per la produzione di film stranieri, ossia 213,66 milioni e arriviamo a 628,56 milioni. Ci sono poi i crediti d’imposta per le opere tv e web straniere: 124,79 milioni di credito richiesto. E siamo a 753,35 milioni di credito d’imposta richiesto nel 2022. Questi numeri sono alti o bassi? Sono cifre adeguate o eccessive?
Ovviamente il contraltare è rappresentato dalle opere realizzate: 171 film italiani hanno richiesto il tax credit produzione 2022, mentre sono 230 le opere audiovisive, 42 i film stranieri e 33 le opere audiovisive e web straniere. A questi numeri corrispondono consistenti investimenti per la produzione. Complessivamente, fra film, opere tv e web nazionali e internazionali, arriviamo a 2.181,31 milioni. Quali sono le critiche al sistema?
Possiamo sintetizzarle per punti: 1) numero eccessivo di film pro-dotti rispetto alle capacità di assorbimento del mercato (fra finzione e documentari, nel 2022 erano 355, praticamente uno al giorno); 2) quota di mercato dei film italiani sul mercato nazionale troppo bassa rispetto alle risorse investite (21,2% dei biglietti venduti nel 2022, ma il 19,7% degli incassi); 3) scarsa capacità di penetrazione dei film italiani all’estero, dovuta in buona parte al numero elevato di opere a basso budget (tax credit “a pioggia”) e dunque con poche possibilità di incrociare la do-manda sui mercati internazionali; 4) inflazione da costi nei budget di diversi film di fascia alta, dovuta all’eccesso di disponibilità di tax credit, che avrebbe portato alla “piena occupazione” del settore e al conseguente incremento del costo dei fattori produttivi (in particolare maestranze); 5) aumento di valore delle imprese italiane e conseguente attrattività agli occhi di gruppi stranieri, che di fatto controllano alcune fra le maggiori società di produzione italiane.
Va detto che il “grande malato” all’interno del sistema audiovisivo sembra essere soprattutto il cinema. C’è un’elevata richiesta di credito d’imposta che si traduce in un eccesso di offerta di film ai quali non si contrappone una adeguata domanda da parte del pubblico. Così i film vengono finanzia-ti a prescindere dall’esistenza del pubblico. Non è accettabile argomentare che si tratta di soldi che si traducono in stipendi e circolazione monetaria. Molto spesso, a difesa del sistema, viene invocato il c.d. moltiplicatore, un numero magico che traduce ogni euro di contribuzione statale in benefici maggiorati per il sistema stesso.
Se andiamo a guardare la Valutazione d’impatto che la DGCA commissiona per legge ogni anno a un ente indipendente, per il 2021 (ultimo anno disponibile in base al report 2023) troviamo solo un sotto-paragrafo denominato «Moltiplicatore» che in tre pagine, costituite principalmente da grafici, ci fa sapere che il numero magico è pari a 2,82 per la produzione e 3,40 per il valore aggiunto. Per il calcolo è stata utilizzata la tavola input/output dell’economia italiana. Fine della spiegazione. Numeri in libertà in cui credere fideisticamente. Fossero anche calcolati correttamente, chi ci dice che immettendo le stesse risorse in altri settori (ad esempio, edilizia o sanità) il moltiplicatore non possa essere il doppio o il triplo? E magari con risultati visibili da chiunque (edifici nuovi o rinnovati, servizi sanitari migliori, ecc.)?
In altri luoghi troviamo calcoli analoghi: negli Usa, in Georgia, nel 2022 per ogni dollaro speso si calcolano 6,30 dollari di impatto economico ma ci sono studi che, al contrario, denunciano una perdita fiscale netta. Altrove i numeri non sono affatto soddisfacenti, come indicano ricerche effettuate in California (con una forbice che va da 1,07 a 0,20) o alle Hawaii (0,56), mentre nel Connecticut alcuni vogliono abolire, altri vogliono in-crementare il vantaggio fiscale. Tutto ciò denota che non c’è una metodologia uniformemente accettata e che, a seconda di chi effettua le analisi, i risultati possono essere diversi in dipendenza della “vicinanza” o meno degli analisti al settore analizzato.
Nel frattempo la revisione della Legge Franceschini sembra andare verso una direzione prudenziale che, pur mantenendo una aliquota massima di tax credit (40%), può rimodularla attraverso decreti ministeriali prevedendo aliquote diverse in relazione alle dimensioni delle imprese o in relazione a determinati costi eleggibili (in proposito, molto scalpore ha suscitato la decisione di limitare il credito massimo ammissibile al singolo soggetto in qualità di regista, sceneggiatore, attore e altra figura professionale per un importo non superiore a 240 mila euro).
A chiusura di tutto questo discorso, che meriterebbe ben altri approfondimenti, va pur sempre ricordato che non si può misurare la performance di un’industria come quella del cinema solo dal punto di vista economico. Vale sempre la nota frase scritta a mano nello studio di Albert Einstein all’università di Princeton: “Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato”.