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Damien Chazelle sul set di Babylon
“Sapevo che questo film avrebbe suscitato determinate reazioni, perché l’idea alla base era proprio quella di andare a dare fastidio, di provocare toccando alcune corde capaci di ottenere un riscontro negativo: questo è un film controcorrente e non a caso ci sono voluti anni per trovare qualcuno disposto a finanziarlo. Sono davvero grato a Paramount, che pur sapendo della forte polarizzazione che il film avrebbe causato non mi ha mai chiesto di scendere a compromessi, anche perché mi sarei rifiutato di realizzarlo. Mi rendo conto che possa essere uno shock, ma era importante che lo fosse, perché sono troppi i film che celebrano la vecchia Hollywood ma senza mai andare davvero in profondità”.
Il premio Oscar Damien Chazelle spiega così la tiepida accoglienza ottenuta negli States da Babylon – poco meno di 15 milioni di dollari incassati a fronte di un budget di quasi 100 milioni di dollari – e le recensioni divisive ottenute in patria, ma accompagnando il suo nuovo film per l’uscita italiana (dal 19 gennaio distribuito da Eagle Pictures su circa 470 schermi) ed europea si augura “che il film possa trovare il suo pubblico, che possa suscitare dibattito, risvegliare gli animi, non semplicemente scivolare via in maniera silenziosa. Spero che faccia rumore, anche perché una volta finito il film non mi appartiene più, diventa dello spettatore: ho fatto quello che sentivo di fare, ora lascio che sia il mondo a prenderlo, a giudicarlo. Non credo mai ai director’s cut, alle modifiche successive: è come lasciare andare un figlio, una volta che va via di casa non puoi più avere su di lui il controllo che avevi finché era un bambino”.
Ambientato nella Los Angeles degli anni '20, Babylon in poco più di 3 ore racconta una storia di ambizioni smisurate e di eccessi oltraggiosi, ripercorrendo l'ascesa e la caduta di molteplici personaggi in un'epoca di sfrenata decadenza e depravazione nella sfavillante Hollywood: Brad Pitt è una star del muto chiamata a fare i conti con la rivoluzione del sonoro, Margot Robbie una starlette che dai bassifondi riesce a trovare l’occasione della sua vita, Diego Calva un immigrato messicano che da semplice galoppino tenta l’ascesa nei meccanismi produttivi dei nuovi studios.
“Ci sono alcuni aspetti di me sia in questi personaggi sia in quelli che raccontavo in La La Land”, dice ancora Chazelle, che spiega: “Il rapporto non è mai stato diretto, certo, ma ciascuno di loro possiede qualche mia caratteristica, l’eco di qualche sfumatura, il riflesso di quella che è stata la mia esperienza in un particolare momento”.
Oltre ai già citati Pitt, Robbie e Salva, completano il cast Jovan Adepo, Li Jun Li e Jean Smart. Per quanto riguarda Margot Robbie, Damien Chazelle non fa giri di parole: “È un’attrice davvero unica, particolare, da una parte è una forza della natura, con una fame e un desiderio che la porta ad essere disposta a fare qualsiasi cosa, come se per ogni ruolo abitasse in lei una bestia selvatica diversa. Al contempo è una persona dalla grandissima disciplina ed esperienza tecnica, capace di fare 12 take e di piangere da un occhio solo: virtuosismo tecnico che abbinato a quella forza selvaggia è rarissimo da trovare. Con lei basta creare un ambiente in cui si sente al sicuro e riesce davvero a dare tutto”.
Nel complesso, quello che Babylon vuole offrire “è una panoramica della società, di come lavora e si diverte in questo periodo della storia di Hollywood dominato da party sfrenati e da set improvvisati: la sensazione, l’idea di quello che ci fosse sotto la superficie, le speranze, i sogni e le disillusioni”.
Una sorta di mondo perduto con l’avvento del sonoro: “Quello che è andato perduto – dice ancora il regista – è stata la libertà ed è forse qualcosa di comprensibile, perché veniva goduta agli albori di una realtà che ancora non si preoccupava di rispecchiare la società a livello mainstream. Los Angeles era considerata una sorta di frontiera in cui i pionieri stabilivano le regole giorno dopo giorno. Era quasi inevitabile che questa fiamma si spegnesse e venisse sostituita da altro: credo però che noi abbiamo ancora molto da imparare da quel periodo perché oggi Hollywood è governata dalla paura, dal conformismo puritano, invece secondo me gli artisti dovrebbero opporsi, reagire, respingere tutto questo per recuperare quella libertà che è stata soppressa”.
Anche per questo, quindi, Babylon è un tripudio di eccessi e sgradevolezze: “Credo fosse importante mostrare quello che Hollywood è da sempre sin troppo brava a nascondere, a mettere sotto il tappeto. Il cinema veniva visto come qualcosa di basso, volgare, pornografico e anche i film dell’epoca avevano nel proprio DNA il mostrare lo ‘sporco’, proprio per rivendicare alcuni aspetti di quella reputazione di cui il cinema godeva. Già nel titolo di questo film è sintetizzato il vizio, il peccato, la Hollywood dell’epoca veniva descritta alla stregua di Sodoma e Gomorra: era un’industria creata da immigrati, da criminali, da reietti, da persone rifiutate dalla società, persone che letteralmente tirarono su un mondo nel bel mezzo del nulla, costruendo una città nel deserto. E tutte le cose estreme, folli, che si trovano nel film sono anche edulcorate perché se ci fossimo attenuti alla realtà nei minimi particolari il film con buona probabilità non avrebbe mai visto la luce”.
L’estasi dell’ascesa contrapposta al buio della caduta: “L’idea che il film fosse in un certo senso diviso in due era quella primordiale. In termini di tono, di stile, perché volevo che dalla commedia si sfociasse nella tragedia ma ho capito che non bastava neanche così e quindi ho pensato di sfiorare anche le derive dell’horror (con la situazione del personaggio decadente interpretato da Tobey Maguire, ndr): l’apice del divertimento, della festa, contrapposto alla caduta, passando da questo tentativo di ascendere verso le stelle, al cielo, e invece poi la rovinosa caduta, la discesa negli inferi. Nell’ultima parte, ambientata negli anni ’50, volevo invece che lo spettatore si ritrovasse a riflettere su tutto ciò che era stato”.
Inevitabile il parallelismo tra le rivoluzioni nel cinema, quella dell’avvento del sonoro in Babylon, quella che stiamo vivendo oggi con l’avvento e la consacrazione delle piattaforme: “La cosa divertente è che il film finisce nel 1952, mentre sullo schermo passano alcune scene di Singin’ in the Rain e proprio in quel periodo alcuni film contenevano la paura, il timore o l’ansia che il cinema stesse morendo, sostituito dall’avvento della televisione. Quella di oggi è una coesistenza difficile, certo, ma non smetto di essere ottimista”, spiega Chazelle, che aggiunge: “Credo ci sia un continuo ciclo di nascita e morte, una continua e costante evoluzione. Hollywood muore e rinasce, continua a cambiare. Persino i Lumière pensavano che il cinema fosse un’invenzione senza futuro, che sarebbe morto: io conservo una copertina di Paris Match del 1953, con la foto di Marilyn Monroe e il titolo ‘Il cinema sta morendo?’. Magari oggi non riusciamo ad immaginare quali altri strumenti potremo inventare, utilizzare per continuare a richiamare la gente in sala. Il 3D ad esempio è uno strumento che ancora può garantire l’unicità di un’esperienza non replicabile altrove, proprio come accadeva con il cinemascope o il widescreen: quello che conta però è come ogni artista decide di utilizzare questi strumenti, come il 3D che nelle mani di James Cameron assume un valore estetico, proprio come può avvenire se un pittore avesse la possibilità di aggiungere altri infiniti colori sulla propria tavolozza e potesse così esprimere sempre di più, sempre meglio, la propria creatività. Rispetto a tutte le altre forme d’arte, il cinema è ancora la più giovane: dobbiamo fare di tutto per alimentarla di continuo”.