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In Italia sta tornando la censura cinematografica? Quella “di Stato” è cessata nel 2021, eliminando la possibilità di intervenire sulla libertà di espressione degli artisti mediante veti all’uscita in sala o all’imposizione di tagli o modifiche.
Ma mentre lo Stato italiano assume una posizione più corretta del proprio ruolo e rispettosa verso l’arte cinematografica, assistiamo all’insorgere di altre forme di censura “dal basso”, preoccupanti e ripetute.
Una breve cronaca – limitata alle ultime settimane – di alcuni episodi in Italia
Avetrana, 22 settembre 2024.
Antonio Iazzi, sindaco di Avetrana (Taranto), presenta ricorso d’urgenza contro il rilascio della serie Avetrana – Qui non è Hollywood (regia di Pippo Mezzapesa) sulla piattaforma Disney+.
Il comune è divenuto suo malgrado noto quando nel 2010 venne uccisa la 15enne Sarah Scazzi, attirando la morbosità dei media.
Il Tribunale di Taranto accoglie il ricorso e decide in favore della “censura” voluta dal sindaco, bloccando la diffusione del true crime.
Poi l’accordo: la serie può andare in streaming eliminando però il nome del paese dal titolo.
Notevole la riflessione del suo produttore, Matteo Rovere: "La Costituzione garantisce la libertà degli autori e delle autrici di esprimersi, di raccontare il presente, la realtà, la contemporaneità, anche con l'obiettivo di elevare lo spirito critico. Quando le cose arrivano da lontano ci rassicurano perché sembrano non appartenerci, mentre quando sono più vicine si sente una complessità in più. Una cinematografica contemporanea deve superare queste paure”.
Roma e Treviso, 24 Ottobre - 5 novembre 2024.
Alcuni studenti romani disturbano con insulti omofobi la proiezione del film Il ragazzo dai pantaloni rosa (regia di Margherita Ferri) ad Alice nella Città.
Qualche giorno dopo, a Treviso, alcuni genitori si rivolgono agli insegnanti chiedendo di non portare i figli alla proiezione dello stesso film, programmato come attività scolastica, «in quanto il tema dell’omofobia e del suicidio potrebbe non essere adatto a ragazzini di 11-12 anni». La dirigente, d’accordo con il collegio docenti, disdice la prenotazione.
Qualche giorno dopo, il Consiglio di Istituto cambia idea perché i genitori e i docenti, dopo aver visto il film, danno il loro consenso alla visione.
9 novembre 2024, Roma.
Alcuni ragazzi irrompono in un cinema interrompendo con insulti la proiezione del film di Andrea Segre Berlinguer. La grande ambizione. Incappucciati, disturbano lo spettacolo mettendosi davanti allo schermo, parlando ad alta voce, sputando a terra. Poi aprono le porte per far entrare altri ragazzi che urlano contro i “comunisti di merda”.
Milano, 14 novembre 2024.
Il docufilm Liliana (regia di Ruggero Gabbai), incentrato sulla storia della senatrice a vita Liliana Segre, viene auto censurato dal direttore del cinema Orfeo che decide di cancellare la proiezione. “Non sono antisemita, ho rifiutato il film solo perché ho paura delle contestazioni. Se vengono i pro-Pal e mi danneggiano il locale, poi chi mi ripaga?”. Così il gestore, riferendosi alle violenze di quei giorni ad Amsterdam ai danni dei tifosi di una squadra israeliana di calcio.
Questi gli episodi più recenti di censura tentata e realizzata, in modo diffuso e differentemente violento, spesso ancor prima che si sia visto il film stesso.
Poi ci sono le censure invocate, non per questo meno preoccupanti, in ambito cattolico in occasione di film con narrazioni problematiche sulla Chiesa e gli elementi centrali della fede, come ad esempio (sempre limitandosi a queste ultime settimane) in Parthenope di Paolo Sorrentino, La stanza accanto di Pedro Almodóvar, Conclave di Edward Berger.
Grazie a Dio (è il caso di dirlo) si moltiplicano voci cattoliche che – davanti a simili opere che legittimamente possono scandalizzare – fanno lo sforzo di analizzare e argomentare, offrendo motivazioni anziché assumere la facile posizione di chi urla “si censuri!” davanti a ciò che non piace o urta.
Cosa evidenziano questi episodi? Almeno due questioni.
Anzitutto dichiarano la fatica – crescente – del dialogo, del confronto, della comprensione delle idee e delle posizioni dell’altro. Intrappolati nelle bolle omogenee di chi la pensa allo stesso modo si è portati a vedere la realtà come un insieme di altre bolle, ostili, da far scoppiare al più presto perché appaiono come minaccia. I social, gli algoritmi, l’intelligenza artificiale spingono verso l’isolamento nella comfort zone della conferma della propria opinione e dello scontro con la differenza anziché favorire il desiderio di “uscire” dalle proprie monolitiche convinzioni per comprendere, dialogare, crescere.
La censura, in ogni forma (a partire da quelle elencate) è il violento tentativo di impedire la conoscenza e la relazione, forse per ignoranza dei fondamenti delle proprie posizioni, forse per paura di mettersi in discussione e scoprirsi fragili nelle argomentazioni. Ci sono dei complici: la de-culturazione in atto e una politica che cavalca la logica del marketing elettorale a danno dell’approfondimento delle idee e dei problemi.
C’è poi un’altra questione: perché così spesso in molti se la prendono con il cinema? Non è questa l’affermazione della sua vitalità e potenza per la circolazione delle idee, la conoscenza dell’uomo e del mondo?
Certo, è grave l’analfabetismo nella comprensione dei testi audiovisivi, sempre più sofisticati e pervasivi. Dove si forma alla loro lettura? Che spazio nei programmi scolastici e nell’educazione informale? Si potrebbe concludere affermando che in altri Paesi la situazione è ben più grave perché la censura si esprime con la reclusione (pensiamo a Mohammad Rasoulof e Jafar Panahi in Iran).
Ma se la limitazione del punto di vista dell’altro slitta dal potere di pochi (i governanti) all’intento di molti (chi mette in atto forme censorie) la situazione è perlomeno altrettanto grave.