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The Promised Land photocredit Henrik Ohsten Zentropa
Era il 2013 quando con Royal Affair il regista danese Nikolaj Arcel regalò al suo paese natio una nomination all'Oscar come "miglior film straniero". E, a distanza di dieci anni, continua a occuparsi della storia della Danimarca spostandosi, ma non troppo, dalla corte reale alla sterminata e infertile brughiera di metà XVIII secolo con La terra promessa, titolo internazionale di Bastarden, presentato in Concorso alla 80a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, finalista quest’anno per l’Oscar al “miglior film internazionale” (è entrato nella shortlist a 15 titoli ma non nella cinquina finale) e vincitore di tre European Film Awards (miglior attore, fotografia e costumi).
Nel 1755 il capitano in pensione Ludvig Kahlen, caduto in disgrazia, desidera costruire una colonia intorno a campi da tutti considerati infertili nello Jutland e che, grazie alla sua conoscenza, riesce finalmente a coltivare, osteggiato però dal terribile e folle latifondista Frederik de Schinkel suo alter ego in tutto e per tutto.
C'è molta epica, dramma, ingiustizia sociale e amore in un film in costume storicamente ineccepibile nonostante qualche tocco contemporaneo, soprattutto relativamente al ruolo della donna. E sebbene alcune idee siano già viste altrove e meglio sviluppate, Nikolaj Arcel, che insieme al premio Oscar Anders Thomas Jensen (miglior cortometraggio per Election Night, 1998) ha adattato il romanzo Kaptajnen og Ann Barbara di Ida Jessen (2020), riesce a dare profondità a una storia sviluppata su più dimensioni tutte legate al concetto di redenzione.
E il film ci riesce anche grazie alla bravura di un cavallo di razza come Mads Mikkelsen, forse il miglior attore danese in circolazione o, senza dubbio, il più conosciuto in ambito internazionale dopo i ruoli nelle saghe di 007 (Casino Royale, 2006), Harry Potter (Animali fantastici – I segreti di Silente, 2022), Indiana Jones (Il quadrante del destino, 2023) e nella serie Hannibal (2013-15), interpretazioni che però trascolorano rispetto alle sue eccellenti prove nei film dei connazionali Thomas Vinterberg, Susanne Bier e Nicolas Winding Refn.
ATTENZIONE: SPOILER
Il primo “livello” di redenzione è quello anzitutto legato alla terra. La brughiera è sostanzialmente sterile, incapace di generare qualcosa che sia commestibile, in quanto terra propria di suoli acidi con scarsa presenza di humus e caratterizzata da una vegetazione erbacea e arbustiva. Quando il capitano Kahlen ottiene dalla casa reale l’acquisto di una proprietà nella penisola dello Jutland, compie un azzardo che può costargli caro. Il lavoro per rendere fertile il terreno è lungo, faticoso e non privo di delusioni cocenti, eppure il militare in pensione ha un segreto, proveniente proprio dalle terre tedesche nelle quali ha fatto servizio per venticinque anni: le patate, che possono crescere meglio proprio in un terreno leggermente acido, sebbene ben drenante e morbido. La patata, che ha origine dal Nuovo Mondo, sappiamo bene diventerà in Europa insieme al pane il cibo dei poveri, che tanto sostegno darà nei tempi più difficili e durante le diverse guerre che si succederanno. E così un terreno destinato al nulla, diviene terreno fertile per un cibo di tutti. E un terreno inizialmente e tenacemente coltivato da un sol uomo, diverrà territorio per l’edificazione di una colonia di 50 contadini. Una redenzione per una terra di nessuno e che nessuno voleva.
Il secondo livello redentivo riguarda il protagonista, il quale, nelle più di due ore di durata del film, si trova più volte a ricominciare da capo, a fare scelte difficili e complesse, a fronteggiare ostacoli che vengono dalla terra e dal male che l’uomo può generare, su tutti il perfido Schinkel, ignorante e buzzurro, che maturerà una sempre crescente invidia nei confronti di Kahlen, macchiandosi di reati infamanti ma coperti dal suo titolo e dalla sua posizione sociale. L’obiettivo è chiaro, ottenere un titolo nobiliare con annesso maniero, così da ristabilire quel disequilibrio generato dalla sua natura “bastarda” di figlio illegittimo di un nobile (da qui il titolo originale della pellicola) che aveva abusato della madre, una delle sue cameriere, e che lo aveva mandato al fronte per sbarazzarsene. La redenzione non avviene, tuttavia, grazie al titolo di barone che riesce a ottenere dal re insieme a 400 coloni per la sua proprietà terrena, ma mediante l’umanità che riesce a dimostrare nei confronti di coloro che la vita gli mette lungo il cammino, fra cui due donne: la forte Ann Barbara (una bravissima Amanda Collin), divenuta vedova di Johannes Eriksen per la spietatezza di Schinkel da cui veniva ripetutamente violentata quando era al suo servizio, e la piccola nomade Anmai Mus, venduta dai genitori a un gruppo di briganti e considerata “maledetta”, che lo chiama da subito “babbuccio”. Khalen, grazie a loro, da uomo freddo e solo finisce per aprirsi, per scoprire la bellezza della comunità e l’importanza degli affetti.
Ed è proprio la redenzione di queste due donne così diverse fra loro per età e provenienza il terzo “livello”. Entrambe vengono liberate da ciò che le opprime e le rende incapaci di essere accolte se non segretamente dal capitano. La legge con i suoi brutali cavilli che riducono in schiavitù nel caso di Ann Barbara e la tradizione ancestrale ma cieca che maledice una bambina portandola all’esilio per quanto riguarda la piccola Anmai Mus. La “disobbedienza” di Kahlen permette alle due donne di essere liberate e, grazie all’amore da lui espresso in diversa forma per entrambe, anche a rischio della propria vita e del proprio sogno, di essere redente, cioè riscattate dal giogo della legge e della trazione più bieca.
C’è, infine, anche un livello di non-redenzione, ed è quello ascrivibile al subdolo Frederik de Schinkel, personaggio spregevole sin dalla prima apparizione e che viene incarnato con maestria dal giovane Simon Bennebjerg. Non c’è redenzione per chi si piega al male e ne assume la forma, sottraendo all’altro per puro sfizio, invidia e noia, la libertà e la vita. L’unica redenzione possibile è quella che viene dalla morte, anch’essa brutale ed esplicitamente cruenta, che arriva proprio da chi più di tutti aveva pesanti conti in sospeso con il nobile viziato e che, per questo atto quasi dovuto, pagherà a caro prezzo. Fino a che il protagonista non si redimerà completamente rinunciando a tutto ciò per cui ha duramente lavorato per riscattarla dal carcere, redimendo così se stesso ancora una volta. Stavolta, per puro (e romantico) amore.