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Prima stagione: “Vai e dille che cominciamo con una scena facilissima, ma siccome lei è una cagna, la farà di merda! Vai, vai, vai!”. Sempre René Ferretti: “Cagna! Cagna maledetta!”.
Seconda stagione, ancora René: “Oh, cagna fino alla fine questa! Proprio cagna fino all'ultimo!”.
Ecce Boris: battezzata alla XVII Festa del Cinema di Roma, la quarta stagione scritta e diretta da Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, con il compianto Mattia Torre già al timone delle tre precedenti (e del risparmiabile film), ha debuttato ieri, 26 ottobre, su Disney+.
“Non c’è drammaturgia senza conflitto”: la rentrée di René Ferretti (Francesco Pannofino), Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti) e Corinna (Carolina Crescentini) è, appunto, al servizio di una piattaforma globale. Archiviata Gli occhi del cuore, sul set è Vita di Gesù, da un’idea non di Stefano Accorsi bensì dell’incontenibile Stanis, anche impegnato produttivamente con l’icastica SNIP (So Not Italian Production) che condivide con la moglie Corinna. Coproduttore e organizzatore è Lopez (Antonio Catania), che pensionato dalla Rete s’è rimesso in gioco con l’ineffabile QQQ (Qualità, Qualità, Qualità). Riusciranno i nostri antieroi a ottenere l’approvazione delle sceneggiature, il lock, da parte del famigerato Algoritmo del servizio streaming?
Riflettendo il mondo, e l’audiovisivo, che cambia, Boris 4 porta sul set il codice deontologico, sicché Biascica (Paolo Calabresi) è costretto ad apostrofare i novelli schiavi con un neutro “merdu”, mentre diversity e inclusion annoverano tra i discepoli, con l’incredibile imprimatur di un sedicente biblista, un africano e un cinese – nulla da eccepire, viceversa, sui giudei incarnati da calabresi, forse perché parlano un dialetto simile all’aramaico o perché sotto l’egida di don Michele evocano affiliazioni ‘ndranghetiste.
Insomma, Ciarrapico e Vendruscolo muovendo dalla tv agli streamers non abdicano alla dose corrosiva e simpatetica, alla vis ironica e scanzonata, alla sprezzatura corriva e l’affabulazione sapida. Bravi, bravissimi. E brava Disney, via l’acquisita Fox, a assicurarsi il poker.
Tutto bene? Sì, ma le parole – Ciarrapico e Vendruscolo in questo hanno ascendenze morettiane – sono importanti. Ovviamente, le battute - e come non esaltarsi per l’intelligenza, loro, nel chiudere il secondo episodio con il ferretiano “Dai! Dai! Dai!” che agli orecchi di un’anglosassone può risultare mortifero. Ma anche i titoli degli episodi stessi, che nelle prime tre stagioni hanno contemplato il metacinema, da Stanis non deve morire (I stagione) e Il cielo sopra Stanis (II), o tradito il cinema, da La qualità non basta (III) a Puzza di capolavoro (III).
E allora, essendo le parole importanti(ssime), perché il secondo episodio di Boris 4 si chiama Cana maledetta e non Cagna, in osservanza all’epiteto cult – peraltro mai profferito nell’episodio - di Corinna? Vuoi vedere che l’algoritmo ha colpito davvero, che il politically correct ha corretto le bozze, emendando quella g greve? E dunque già che ci siamo perché non Can* o Canə? Che figura di merdu.
Quanto ci sarebbe piaciuto – confessiamo - blastare così la fuoriserie italiana, addebitarle l’ossequio allo Zeitgeist, l’inchino al woke e via blaterando, e invece no: Cana maledetta non è questa cagna ripulita, ma quella Cana evangelica, quelle nozze vinificate da Cristo. Un miracolo semantico, altro che autocensura. Sempre sia lodato Boris!
PS: “Cagna” c’è. Arriva nel quarto episodio, Il set dei miracoli appunto, per bocca di Stanis, ma non è riferito a Corinna, bensì a una comparsa indemoniata. E c’è anche “cane”, che René confida sia proprio Stanis, e invece si attaglia al giovane vietnamita de ‘noantri chiamato a interpretare San Marco.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato sulla newsletter #Koyaanisqatsi il 27 ottobre 2022. Per iscriversi: clicca qui