PHOTO
Si può raccontare la Sicilia ridendo dei suoi tic senza scivolare in caricature, parodie o stereotipi? Si può scrivere di una famiglia siciliana, sicilianissima, servendosi di una lingua abissalmente lontana dal dialetto, molto più vicina al toscano che a qualsiasi dialetto meridionale (ma lasciando emergere la potenza della lingua isolana nei dialoghi)? La risposta a queste domande è: L’ultima provincia, l’esordio letterario di una scrittrice conosciuta come Luisa Adorno, che oggi possiamo a tutti gli effetti considerare un classico.
Nata a Pisa, insegnante negli istituti superiori, donna di grande cultura e carattere, collaboratrice di storiche riviste letterarie, questa autrice prolifica e originale ha rivoluzionato il modo in cui la Sicilia può essere raccontata, e per questo fu notata e amata da Leonardo Sciascia, per la sua ironia che, mentre guarda alla levità malinconica di Vitaliano Brancati e alla lingua piana e martellante del periodare di Natalia Ginzburg, trova una felicità tutta sua, un’indipendenza nello scarto.


L’ultima provincia è il racconto di una donna al seguito di marito, suocero e suocera all’indomani della guerra, durante le estati caldissime ai piedi dell’Etna. Lui, il Prefetto, e lei, la Prefettessa, sono genitori ingombranti di un figlio schiacciato che a fatica riesce a ritagliarsi il suo spazio matrimoniale, ma di tutto questo si sorride, perché la voce di chi racconta è altrove, in una dimensione di grazia e irriverenza tutta femminile, che a poco a poco che scopre abitudini e usanze a lei lontanissime si stupisce con sincerità, e anziché piangersi addosso o scappare, ne fa racconto: “Fra le tante abitudini che di loro ignoravo c’era quella di svestirsi per il pranzo. Gli occhi degli altri, di cui si considerano il panorama migliore, il senso esasperato del decoro che si risolve in una cura, che è amore, del proprio vestiario, li costringono, quando sono fuori, ad un contegno di estrema attenzione, che crolla appena varcata la soglia di casa, in un bisogno di sbracamento, di scioltezza, di libertà. Essi lo appagano infilandosi in un vestito vecchio l’inverno, in un pigiama a righe, preferibilmente di seta, identico a quelli da notte, l’estate. Nel pigiama si annega oltre l’attenzione al proprio vestiario, il controllo di sé, del proprio linguaggio”.
Ecco: da un dettaglio, svestirsi a casa, cosa riesce a fare Luisa Adorno, donna di un altro secolo (è morta quasi centenaria, a Roma dove viveva, pochi anni fa). La grana della sua scrittura è questa: una piccola crepa che si allarga precipitandoti verso riflessioni che mai avresti immaginato potessero venire da lì.