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Carolina Crescentini e Pietro Sermonti in Boris 4
Ce n’era bisogno, dunque? La risposta ovviamente è sì.
Sì perché la mitologia de Gli occhi del cuore apparteneva ormai ad un modo di fare tv, e di fruirla, che non esiste più.
E allora, trascorsi 12 anni dalla terza stagione (e 11 dal film per il grande schermo), Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo (orfani di Mattia Torre, che però vive sempre, e nella serie è incarnato dal fantasmatico Valerio Aprea, spirito che aleggia nelle stanze del pensiero degli altri due sceneggiatori interpretati da Massimo De Lorenzo e Andrea Sartoretti) danno vita a questa quarta stagione di Boris, dal 26 ottobre su Disney+, che catapulta i protagonisti di allora nel magico e letale mondo dei format per le piattaforme.
La trovata è geniale e di una semplicità sconcertante insieme, come del resto lo fu all'epoca creare qualcosa capace di sedimentarsi in modo così naturale nell'immaginario non solo degli spettatori ma dei creatori stessi di prodotti audiovisivi.
Citazioni, meme, a breve sui vari social si aggiorneranno parecchio con questo nuovo sviluppo (capace però di parlare anche ad eventuali novizi), ad iniziare dalla sigla, sempre curata da Elio & Le storie tese ("e se una scena è complicata non la famo ma la dimo..."): la sospensione perenne di un set nel set che oggi ritorna ma che dialoga col nuovo, con l'attualità governata "dall'algoritmo", dalla vicenda "teen", dall'attesa di un "lock", parola magica che sta per "sceneggiatura approvata", con lo schiavo di allora (Alessandro Tiberi) che oggi è l'anello di congiunzione tra la piattaforma e la produzione, Corinna (Carolina Crescentini) e Stanis (Pietro Sermonti) sposati, il regista René Ferretti (Francesco Pannofino), il direttore della fotografia Duccio (Ninni Bruschetta) di ritorno dall’India (“lì mi chiamavano Duccio no shooting”), Lopez (Antonio Catania) coproduttore e organizzatore, Biascica (Paolo Calabresi) in difficoltà con i nuovi codici comportamentali, ad iniziare dalle desinenze con cui rivolgersi alle giovani maestranze, Arianna l'assistente alla regia (Caterina Guzzanti), il direttore di produzione al gabbio (Alberto Di Stasio) e naturalmente Boris, il pesciolino ormai 17enne sempre di un bel rosso perché "gli dò il mangime ai gamberetti".
La missione è quella di confezionare Vita di Gesù, da un'idea dell'incontenibile Stanis, anche protagonista della serie, con comparse calabresi perché Lopez deve un favore ad un cugino e l'agguerittisima Corinna (nelle prime due puntate nessuno la apostrofa più come "cagna maledetta", si vede che l'algoritmo e il codice comportamentale ha colpito sul serio) che vuole una parte a tutti i costi per rientrare del flop produttivo di Genghis Khan: come sempre vanno fatti i conti con la realtà e come non mai vanno fatti con la producer anglosassone, quindi un'altra delle parole chiave per farsi approvare il progetto diventa "inclusione" (ma un apostolo coreano è credibile?)...
"Noi con la merda se semo comprati Spoleto ma c'è un limite a tutto": ovviamente i limiti sono fatti per essere superati. E l'inferno, tutto sommato, “non è manco così male: so' tutte quarte stagioni".