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Here di Bas Devos © Erik De Cnodder
Se il panorama del Concorso della Berlinale 2023 ha sin qui riservato più prevedibili conferme che reali folgorazioni, il buon cinema non manca sugli schermi di Berlino. Si tratta di saperlo trovare nel ricco ventaglio delle proposte alternative delle sezioni parallele.
Una giusta unanimità critica che l'ha incensato come il vero gioiello di questa Berlinale si è creata attorno al quarto lungometraggio del fiammingo Bas Devos, Here, passato in Concorso a Encounters. Devos dipinge con incredibile minuzia la sua tavolozza in 4:3, con una bellezza di tratto e intensità cromatica e compositiva quasi commovente, quale novello maestro di un minimalismo che pare discendere dalla pittura fiamminga di Van Eyck o Bruegel.
In una Bruxelles estiva e solare che si prepara alle vacanze, Devos orchesta l'incontro fatidico, in una sera di pioggia, tra Stefan, un operaio rumeno che, con la chiusura stagionale del cantiere, s'appresta a rientrare al paese natale in macchina e Shuxiu, una ricercatrice di origine cinese, specializzata in muschi e che di tanto in tanto aiuta la zia nel suo piccolo ristorante.
Una storia semplice, ma squisitamente romantica e profondamente umana, fatta di piccoli dettagli, d'inezie quotidiane e d'incontri che paiono rubati alla vita vera, con Stefan che regala a familiari, amici e conoscenti porzioni di una zuppa che ha preparato con le verdure che gli rimanevano in frigo prima della partenza.
Questo amabile spirito di condivisione pare animare anche il cinema di Devos, che ci fa riscoprire, nella sua cristallina bellezza una dimensione dell'umano aggraziata e fraterna. Cinema che fa davvero bene agli occhi e all'anima. Altra bella sorpresa di Encounters è il finlandese Family Time di Tia Kouvo, ovvero come ti decostruisco il film di Natale con un ritratto di famiglia pieno d'ironia, ma che mai scivola nel cinismo. La regista debuttante lavora con grande sapienza sulla durata e sulla composizione, popolando sistematicamente le sue inquadrature fisse con tutti i membri di una famiglia che si ritrova dai nonni per la cena della Vigilia di Natale.
Certo, l'umorismo e le sue tempistiche sono molto nordici, anzi finnici, ma Tia Kouvo investiga con sottigliezza gli scheletri nell'armadio di un nucleo familiare tutt'altro che fuori dalla norma, proprio nel momento di celebrazione più topico della convenzionalità e del conformismo sociale, senza mai andare sopra le righe. Di qui, scaturisce un'empatia verso tutti i protagonisti, verso le loro frustrazioni e debolezze, anche quando si comportano in maniera odiosa.
Insomma, Tia Kouvo reinventa il film natalizio disfacendosi delle affettazioni della tradizione familiare patriarcale e abbracciando lo spirito dell'imperfezione degli individui intrappolati nelle convenzioni sociali.
Sul fronte di Panorama, si segnalano due debutti che flirtano con il thriller. Ghaath - Ambush dell'indiano Chhatrapal Ninawe è un'opera sorprendente e politicamente scomoda che articola in un trittico quasi tarantiniano un'indagine sulla lotta tra lo Stato indiano e la guerriglia naxalita di stampo maoista, che vede coinvolti soprattutto membri di minoranze tribali ai margini estremi di una società già segnata da enormi contraddizioni. Con una trama complessa e mai prevedibile, Ninawe racconta di tradimenti all'interno della guerriglia, di polizia corrotta, di prevaricazione del maschile sul femminile, di misteriose pratiche magiche tribali con esplosioni di violenza anche brutali, ma fedeli ad un contesto dove la vita e la morte sono solo facce di una stessa medaglia. Il film di Ninawe era stato invitato a Panorama due anni fa, ma la produzione l'ha tenuto bloccato, per probabili timori rispetto al contenuto politicamente scomodo. Un plauso ai selezionatori che hanno rinnovato l'invito ad un film potente che ci fa scoprire una realtà davvero sconosciuta dell'India contemporanea.
Più convenzionale nelle forme, ma anch'esso dichiaratamente 'sovversivo' è Femme di Sam H.Freeman e Ng Choon Ping, revenge movie dove un transessuale scopre che il bullo che l'ha brutalizzato con i suoi amici è un omosessuale represso e in the closet. Un copione in sé prevedibile, ma che è reso intrigante dalle eccellenti prove attoriali di Nathan Stewart-Jarrett e di un George MacKay fragilissimo nella sua tracotante mascolinità. Se Femme è forse un film 'a tesi', i suoi due attori riescono davvero a darle corpo.
Ma sul fronte del genere, il titolo che ha sicuramente più fatto parlare di sé a Berlino è stato, nomen omen, l'australiano Talk To Me di Danny e Michael Philippou, passato a Berlinale Special. Gemelli che si sono fatti conoscere tramite il loro popolarissimo canale YouTube RackaRacka, i fratelli Philippou pescano a larghe mani e con sapiente scaltrezza nel vasto repertorio delle convenzioni dell'horror adolescenziale americano, per costruire un avvincente e classico racconto che ammonisce contro il desiderio di voler entrare in contatto con i morti. Ma sotto questa superficie, Talk To Me è anche un doloroso racconto sulla solitudine e il disagio psicologico connessi all'elaborazione del lutto. Il che, come nei casi più felici di un genere che non cessa di stupire, permette di travalicare il mero piacere del jump scare e lasciare una duratura sensazione di disagio una volta che si riaccendono le luci in sala.