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Elio Germano in Berlinguer. La grande ambizione
Un uomo, di spalle, parla al “suo” popolo. La solitudine e la folla. La locandina di Berlinguer. La grande ambizione di Andrea Segre, film di apertura della diciannovesima Festa del Cinema di Roma, riprende e cita una magnifica fotografia di Luigi Ghirri (è anche la nostra copertina di questo numero). Fu scattata il 18 settembre 1983 alla Festa nazionale dell’Unità a Reggio Emilia, dove settecentomila persone convennero nell’arena del Campo Volo che negli anni a seguire avrebbe ospitato i concerti di Vasco Rossi e di Ligabue.
È domenica e va in scena un momento rituale del lungo dopoguerra italiano, il passaggio di stagione dall’estate all’autunno «caldo» per definizione non meteorologico codificato nell’album della Prima Repubblica. Parliamo del comizio di chiusura della kermesse del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, allora diffuso in centinaia di migliaia di copie dai militanti che la domenica mattina raddoppiano o triplicano le vendite delle edicole. A salire sul palco nella giornata conclusiva della Festa dell’Unità è come sempre il segretario del PCI, «il più grande partito comunista dell’Europa occidentale».
Scegliendo l’insolita prospettiva del backstage, l’emiliano Ghirri – ch’era nato a Scandiano, non lontano da Reggio - riesce a cogliere in uno scatto la sottesa dialettica tra assenza (del volto) e presenza, del resto consustanziale alle sue mirabili immagini, ovvero tra le albe del sol dell’avvenire o di quel che ne restava e l’incipiente tramonto dell’“uomo solo al comando” destinato a una prematura e traumatica scomparsa. Un crepuscolo che da lì a qualche anno, con il crollo del Muro di Berlino e la fine dell’Unione sovietica, investirà in pieno anche il Partito e la Grande Narrazione che proprio l’eurocomunista Berlinguer aveva messo in dubbio in alcuni suoi interventi “sospetti” agli occhi di Mosca e del Cremlino pre-Gorbacëv.
Di certo, Reggio Emilia rimarrà l’ultima Festa dell’Unità chiusa da Berlinguer, il quale il 7 giugno 1984, alla vigilia del voto europeo, fu colpito da un ictus durante un comizio in piazza della Frutta a Padova. Morì quattro giorni dopo. Ai suoi funerali, celebrati a Roma il 13 giugno, parteciparono oltre un milione di persone: evento di popolo paragonabile per commozione collettiva solo alle esequie di Togliatti di vent’anni prima, quelle immortalate dal famoso dipinto di Guttuso. Tutt’oggi si rammemorano i momenti salienti dell’addio a Berlinguer, come il commiato del presidente della Repubblica Sandro Pertini, il vecchio combattente socialista che s’inchinò dinanzi al feretro baciandolo tra gli applausi.
Ma fa testo anche l’omaggio alla bara del segretario del Movimento sociale italiano, Giorgio Almirante, avversario storico dell’antifascista Berlinguer. Un atto replicato nei mesi scorsi dall’attuale presidente del Consiglio nella sua visita alla mostra capitolina su Berlinguer allestita nel Mattatoio di Testaccio, dove sul libro delle firme vergò questa frase: «Il racconto di una storia, politica. E la politica è l’unica possibile soluzione ai problemi. Giorgia Meloni». Ma anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha di recente “chiamato” l’applauso in memoria del leader comunista in una conferenza di Fratelli d’Italia alla presenza della figlia, la giornalista Bianca Berlinguer.
Già, Berlinguer non è mai stato dimenticato, come testimonia la tessera 2024 del Partito democratico voluta dalla segretaria Elly Schlein, sulla quale campeggiano gli occhi sorridenti di Enrico e la frase «Casa per casa. Strada per strada», le ultime parole pronunciate nel fatale comizio patavino dell’84. La “questione morale” che egli suscitò nella famosa intervista a Eugenio Scalfari su “la Repubblica” del 28 luglio 1981 continua a echeggiare nel corso del tempo fino all’epoca della cosiddetta “antipolitica” e dei populisti che in qualche misura si candidano a diventare eredi “moralisti” di quell’afflato invece assai sobrio: «I partiti di oggi – disse Berlinguer - sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi…».
Dal canto suo, il cinema lo “adotta” subito: Berlinguer ti voglio bene di Giuseppe Bertolucci (1977) segna l’esordio sul grande schermo del sottoproletario toscano Mario Cioni alias Roberto Benigni, che nel 1983 avrebbe preso in braccio Berlinguer sul palco di una manifestazione romana per la pace a suggello di una esilarante presentazione. Ma sono tanti i documentari che gli verranno dedicati da Ansano Giannarelli (2004) e Giovanni Minoli (2009), da Mario Sesti e Teho Teardo (2013-14), da Walter Veltroni (2014), fino ai titoli del quarantennale: Prima della fine – Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer di Samuele Rossi e Arrivederci Berlinguer! di Michele Mellara e Alessandro Rossi. Quest’ultimi film, entrambi del 2024, riprendono le fila dell’Addio a Enrico Berlinguer, esempio di cinema militante firmato tra gli altri da Silvano Agosti, Gianni Amico, Bernardo Bertolucci, Luigi Faccini, Francesco Laudadio, Carlo Lizzani, Luigi Magni, Citto Maselli, Giuliano Montaldo, Gillo Pontecorvo, Ettore Scola, Anna Maria Tatò…
Ora alla Festa di Roma e poi nelle sale dal 31 ottobre vedremo Berlinguer. La grande ambizione di Andrea Segre, cineasta-sociologo veneziano uso ai silenzi e alle pause della laguna, dei margini, delle montagne, con Elio Germano in una superlativa prova ben oltre la dimensione mimetica e un cast non meno efficace (Paolo Pierobon è Andreotti, Roberto Citran è Moro, Paolo Calabresi è Pecchioli). Sceneggiato dal regista con Marco Pettenello e coprodotto da Vivo Film, Jolefilm e Raicinema, il film racconta la sfida del segretario PCI di coniugare democrazia e socialismo, libertà e giustizia, aprendo al dialogo con la Democrazia cristiana e formulando la proposta del “compromesso storico”, un modo di esorcizzare il peggio in agguato all’indomani del golpe fascista di Pinochet nel Cile del 1973.
Lo stesso anno in cui, guarda caso, Berlinguer sfuggì all’attentato a Sofia probabilmente architettato dai servizi segreti bulgari… Un uomo e un Paese, una solitudine affollata nell’Italia sì turbolenta e tragica, eppure vitale e appassionata degli anni Settanta/Ottanta. E la speranza di un mondo migliore stroncata da quel maledetto ictus, ma che ancora dice di lui: bentrovato Enrico.