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Marco Bellocchio al Bif&st 2024
“La tragedia di Gaza mi avrebbe molto condizionato se fosse esplosa prima di fare questo film”.
Così il Maestro Marco Bellocchio, in dialogo con il presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo Mons. Davide Milani all’ultimo incontro - moderato dal critico Enrico Magrelli - del tributo che si è tenuto in suo onore quest’anno al Bif&st di Bari. Il film in questione è Rapito , e racconta la storia, realmente accaduta, di un bambino ebreo nella Bologna di fine Ottocento, segretamente battezzato, e proprio per questo strappato alla famiglia e convertito alla fede cristiana a Roma per volere di papa Pio IX.
È il caso Edgardo Mortara che assunse presto una dimensione politica nazionale e internazionale. “Sono rimasto colpito dalla storia di questo bambino rapito nella Roma papalina- prosegue il regista-. Poi ho saputo che Steven Spielberg stava preparando un film sullo stesso soggetto. Erano già stati fatti alcuni sopralluoghi a Viterbo e alcuni provini ad attori italiani, poi il progetto si è arenato. Così come quello di Julian Schnabel. Allora ci siamo sentiti liberi e lo abbiamo fatto. Il mio non è un film schierato. Ma certamente Pio IX ha compiuto un atto di imperio e di potere esprimendo un principio di intolleranza coerente a quella che lui riteneva essere la religione praticata allora. Adesso sarebbe impossibile naturalmente”.
E poi tornando alla guerra a Gaza: “La storia nel presente è fuori sincrono. Questo film è stato fatto prima della tragedia di Gaza e della guerra. In Francia, dove c’è una comunità ebraica molto numerosa, il film è uscito dopo tutto questo (in Italia è uscito il 25 maggio, in Francia l’8 novembre, ndr) e i distributori erano un po’ preoccupati. Ha avuto comunque molto successo. Penso che in questa guerra ci sia una legittima difesa sproporzionata. E si vede dai numeri. Nella storia umana raramente i vincitori si sono fermati. Giustizia e vendetta spesso si confondono”.
Anche nella Bibbia si parla di vendetta. “La vendetta di Dio si manifesta nella misericordia”, dice Davide Milani. E poi su Rapito: “Questo film racconta e mette in moto tanti sentimenti. Ci sono tanti temi: la vicenda di un popolo, di Edgardo e della sua famiglia, il Risorgimento, la questione ebraica. La storia non è fatta da grandi vicende, ma è fatta da persone e fatti che accadono. Rapito ha messo in moto una riflessione su un’istituzione a cui appartengo, cioè la Chiesa, e mi ha commosso. Se la Chiesa non rimane fedele allo spirito del suo fondatore, quello di Gesù Cristo, poi va in confusione. Marco ha avuto uno sguardo originale su questa storia. Non uno sguardo pregiudiziale, non un punto di vista preso prima. Non ci sono buoni o cattivi. Mi ha dato ancora una volta una lezione tipica del suo cinema: bisogna stare attenti a giudicare. Bisogna comprendere le ragioni che stanno dietro, senza togliere le responsabilità che ciascuno si assume per i propri gesti”.
E tornando al non schieramento del suo film Marco Bellocchio dice: “Penso a un particolare, ossia la scelta del bambino, il piccolo Enea Sala, che non è ebreo. E nella sua vita non era mai entrato in una chiesa. Non conosceva la religione. E ce ne sono numerosi. Mi ha molto colpito ai provini. Aveva un sentimento puro. In lui c’era una sensibilità e una sofferenza inconscia che ha rivelato da attore nel film. Ha imparato una serie di formule, riti, preghiere ebraiche, che non conosceva per niente. Poi purtroppo, dopo le riprese del film, nella sua vita è avvenuta una cosa davvero tragica perché sua madre è morta”. E poi: “Nel film mi interessava vedere il movimento interno di Edgardo. La terribile angoscia provata dopo essere stato separato dalla sua famiglia e essere stato trascinato nel collegio dei catecumeni a Roma. Edgardo ha scelto di sopravvivere. E nella sopravvivenza viene anche affascinato da una rappresentazione della religione assai diversa. Lui vorrebbe far coesistere la Chiesa, il Papa, che lo ha sempre protetto, e la sua famiglia. Vorrebbe la pace”.
Il contesto storico ovviamente era molto diverso da quello di oggi. “Il clima era complesso - dice Davide Milani -. Ma questo non assolve Papa Pio IX da questo fatto, perché appunto la Chiesa è chiamata sempre a rimanere fedele a Cristo. E Cristo una cosa del genere non l’avrebbe mai tollerata. Ha predicato e realizzato tutt’altro. I cristiani si preparano a entrare nella Settimana Santa. Quando Gesù sta per essere arrestato, Pietro cerca di difenderlo con la spada e colpisce un soldato. E Gesù dice che non c’è niente che giustifichi la violenza neanche se vogliano mettere le mani su di lui”.
E sul tema dell’appartenenza tanto caro a Bellocchio, Davide Milani dice: “Anche per me è un tema molto caro. Qui ci sono varie appartenenze, ce ne è una di sangue, ovvero quella di appartenenza di Edgardo alla sua famiglia, e al sangue ebraico e alla sua tradizione, e una religiosa, che si può scegliere. Il Concilio Vaticano II stabilisce la libertà religiosa e di conversione. Qui c’è un’appartenenza formale: sei stato battezzato quindi appartieni. Non è ancora una questione del cuore. Ma l’appartenenza non può essere solo formale. Se non apparteniamo a qualcuno, alle persone che amiamo, alla nostra storia, a un modo di vedere la vita, non sappiamo più chi siamo. E questo film lo dice bene. Edgardo decide di appartenere alla comunità della Chiesa, influenzato da questo episodio, ma in parte liberamente”.
E sul Cristo liberato dalla croce: “È anche una mezza citazione di Marcellino pane e vino. Quel Cristo liberato dalla croce lo leggo come un Cristo che non si riconosce più in quel potere e in una Chiesa che ha strappato un bambino dalla sua famiglia e che si deve difendere. Come dire, io non abito più in questa Chiesa. Ho bisogno di andare altrove. C’è l’esigenza di una Chiesa che deve essere liberata da tutti questi orpelli che non le appartengono e non le sono mai appartenuti. Mi è piaciuto per questo”.
E sulla scena in cui Edgardo, ormai adulto, prova a convertire la madre che sta per morire dice: “Ho visto il cambiamento di quel personaggio ossessionato dal dover battezzare. Mi piace pensare che questa fede granitica, senza dubbi, non capace di integrare con quel che capita, forse lì comincia ad andare un po’ in crisi. Mi piacerebbe fosse così”.
Infine Bellocchio conclude: “C’è qualcosa di costante nel mio cinema. È l’opposizione a un potere autoritario, quello dei padri. La prepotenza, per me è intollerabile. Ora ho un modo di rappresentarla meno furioso e meno distruttivo di allora. Non più alla Pugni in tasca. Io sono per la ribellione che non preveda l’uccisione dell’avversario, contro la guerra e per un’anarchia pacifista”.