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Audrey Hepburn - Colazione da Tiffany
“Sono nato in Svizzera, perché mia mamma non poteva spostarsi durante gli ultimi mesi di gravidanza. Poi sono cresciuto a Roma. Sono un grafico da trent’anni, ma mi sono dedicato anche alla scrittura. All’inizio era più mio fratello (Sean Hepburn Ferrer, ndr) a occuparsi dell’archivio, del materiale relativo a mia madre. Da un decennio però mi sono unito a lui, abbiamo anche organizzato una mostra insieme”, racconta Luca Dotti, secondogenito di Audrey Hepburn, che su di lei ha realizzato tre libri. Gli abbiamo parlato in occasione dei trent’anni dalla scomparsa (20 gennaio 1993) di una delle icone più incisive della storia del cinema.
“L’ho sempre vissuta, conosciuta, come mia madre. La sua carriera era presente, ma restava in secondo piano. Lei amava fare un passo indietro rispetto alla sua immagine. Si faceva chiamare Audrey Dotti. Voleva essere una persona comune, non una diva. Passeggiava per il centro, conosceva i vicini, i negozianti, le mie maestre di scuola. Questo creava sorpresa. La famiglia era al primo posto, per due motivi. Fin da piccola sognava dei bambini suoi. Sullo schermo arrivò in maniera fortuita. La passione era il balletto, per arrotondare recitava a Londra. Ma non aveva grandi ambizioni. Poi non bisogna trascurare che era una reduce della Seconda Guerra Mondiale. Suo zio è stato uno dei primi civili a essere fucilato dai nazisti, un fratello fu deportato in un campo di sterminio, l’altro divenne partigiano. Perse i punti di riferimento, e li ha cercati dopo, con una casa e degli affetti stabili. Per questo ha lasciato lo schermo per occuparsi di noi”. Quel periodo ha segnato l’esistenza di Audrey Hepburn. “Ha patito la fame durante la guerra, come tanti. Mia nonna era olandese. Mamma aveva dieci anni, e stava in un villaggio di campagna che doveva essere più sicuro rispetto ad altri posti. Per uno scherzo del destino, quel paesino fu designato per essere la base principale delle retrovie delle truppe naziste. Fu durissima, cercarono anche di rapirla”.
Per quanto riguarda invece la sfera privata: “Era molto dolce ma anche severa, sapeva farsi rispettare. Parlavamo, ci confrontavamo. Poi bastava una sua occhiataccia per capire al volo che dovevamo smetterla. Ho dei ricordi bellissimi della mia infanzia. Per gli altri era la più grande di sempre, pensavano che fosse in bianco e nero e vestita di Givenchy anche a casa. Ma per me era una mamma normale. Amava molto gli animali, specialmente i cani, che ci hanno sempre accompagnato. Mi ha insegnato a rispettare, a voler bene a tutti gli esseri del creato. Ogni cosa è preziosa, specialmente chi è diverso da noi, perché può arricchirci”.
Quella di Hepburn fu un’ascesa senza pari. “Anche lei fu presa in contropiede dal suo successo immediato. Vacanze romane, l’Oscar. Non puntava a quello, per lei era tutto momentaneo, passeggero. Pensava che il pubblico l’avrebbe dimenticata, non si considerava né bella, né perfetta. Era una donna al lavoro, non una star. Non guardava i suoi film, neanche la televisione”. Nel 2021 è stata annunciata una serie su Hepburn, tratta da uno dei libri di Luca Dotti. “È sempre in fase di produzione. I tempi si sono allungati, però sono fiducioso. A condurre il progetto è la Wildside, stiamo lavorando. Ma non so ancora quando la vedremo”.