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Jasmine Trinca, (Credits: EmmePerDue)
"Il film è racchiuso in un immagine: l'attrice protagonista è presente -non c’è ancora la coprotagonista- ma è sotto una coperta, a significare l'assenza di Jasmine. L’essenza del film è la sua assenza, l'espressione più alta di un rapimento. Volevo raccontare cinematograficamente un'assurdità: l’assenza di qualcuno. Quindi coprirla con le coperte che fanno parte del meccanismo di dominio dell'altro era la cosa migliore per annullare, per non far vedere, come nei giochi per bambini. La coperta mi sembrava una sintesi più brutale e più primitiva del burqua o del hijab, perché se togli la visione, il personaggio non esiste. Per cui la volontà era chiudere, reprimere, coprire. Profeti é un film sull'assenza e quindi su Dio. Il grande assente di questo film.”
A quasi cinque anni da Sulla mia pelle, Alessio Cremonini torna al cinema con Profeti, premiato al Noir InFestival con il Black Panther Award 2022 – Menzione speciale della giuria.
Una storia che incrocia più temi scottanti -la prigionia, i diritti delle donne, dei giornalisti d’inchiesta, il Medio Oriente, la religione, Dio, l’incontro/scontro tra due civiltà- nella vicenda di Sara (Jasmine Trinca), reporter di guerra in Siria che una notte è rapita dalle forze dell’ISIS e tenuta prigioniera per giorni da un miliziano. Fin quando non viene consegnata a Nur, moglie del suo carceriere, che ha una missione: convertire Sara e farla aderire all'estremismo islamista.
Film dalla produzione tormentata (firmata Cinema Undici e Lucky Red con Rai Cinema), Profeti era stato annunciato per fine 2022 e poi rimandato. “Mi ricordo quando l’ho raccontato ad Andrea Occhipinti, mi ha chiesto se ero sicuro di volerlo fare. Ma per me raccontare le donne e il melting pot mediorientale è un esigenza. Ci avevo provato in un altro film, Border ma non è mai uscito in nessuna sala. Perciò stavolta volevo girare con più di trentamila euro (ride, ndr.). E poi la prigionia è il filo rosso che lega tutta la mia ricerca, anzi la mia indagine, perché il cinema per me è un'indagine. Quella di Sara è una prigionia interessante, collaterale forse, ma diversa da quella di Stefano Cucchi”.
Per l’attrice protagonista, Jasmine Trinca, al secondo film con il regista romano, inoltre, “Profeti è un film di poche tesi recitate”. E anche l’autore è d’accordo: "Spesso le conversioni hanno a che fare con il rapimento e tutte sono ingiudicabili, tranne da chi, in caso, sta più in alto di noi. Se nel film c’è una vera conversione o indotta, lo lascio allo spettatore, sempre se gli va di giudicare e sostituirsi all’Altissimo. Però è un dato che ci siano state parecchie conversioni così".
Cremonini non vuole dare verità, ma offrire al pubblico un film che è diventa anche "un’indiretta critica della guerra riferita al futuro della donna. La questione femminile non è assolutamente risolta, per cui il film invita almeno a sperare che qualcosa possa accadere, ma è una speranza molto tragica."
Jasmine Trinca ripercorre così il suo avvicinamento al personaggio di Sara: "Ho passato tanto tempo sotto la coperta. Non ho per niente il vezzo dell'attrice che fa il metodo, perché il cinema è sempre dispersivo: fare un film è anche tanto rumore, tante persone, tanta gente sulla la linea dello sguardo. Per prepararmi ho trascorso tanto tempo con Domenico Quirico, giornalista rapito in Siria. Mi ha raccontato della mancanza di senso che prende chi è imprigionato. Nel caso di Sara, lei, da occidentale, ha la presunzione di sapere come le donne debbano comportarsi: verso Nur ha un grande pregiudizio e solo alla fine scopre l'importanza dell'ascolto."
L’attrice è in sintonia con l’idea del regista: “Del personaggio ciò che conta è l'assenza di senso. Così, stare in un altro modo sotto una coperta, mi interessava soprattutto perché il cinema è immagine e luce: voleva dire operare una privazione dell’immagine, del personaggio quasi completa”.
Ma l’aspetto profondo che l’ha convita a diventare Sara è un altro: “Mi piaceva molto contestare una piccola presunzione dello sguardo occidentale, uno sguardo di una donna impegnata che pensa di conoscere quel mondo e di dire a un’altra donna che vive lì come farlo. In realtà, al di là del fanatismo religioso, tutte noi donne sentiamo addosso un potere abbastanza simile. Uno sguardo mutuato e abusato dalla religione e che l’assetto sociale continua a porre come sguardo del patriarcato. Quindi ho cercato di portare una mancanza di pregiudizio su quel mondo, su quella donna, sull’incontro con Nur, che è diventato un incontro più di sguardi che di parole: le battute dette, essendo così poche, sono piene di esattezza."
Ancora Trinca: “Quello che ci insegna il film anche senza volerlo è che in una rivoluzione come quella che sta accadendo adesso in Iran le donne, che sono state le prime a scendere in piazza, possono perdere la vita. Per cui da attrice mi imbarazza parlarne perché sono in una posizione di privilegio nonostante il mio cuore e la mia visione del mondo vada in quella direzione: a sostegno delle donne in quelle parti del mondo in cui la possibilità di avere un’opinione è messa in discussione”.
Il film sfaccetta anche la loro posizione rispetto alla guerra. E Trinca ci tiene a sottolinearlo: “Alessio Cremonini decide di mettere all’inizio del film la presa di parola di una guerrigliera curda, ricordandoci che in Medioriente in battaglia ci vanno anche loro, soprattutto loro, rimettendoci la loro vita. Per cui Alessio riesce a mettere in discussione anche ciò su cui noi fondiamo la nostra superiorità di opinione e appartenenza”.
Coprotagonista del film è Isabella Nefar che incarna Nur, l’inquietante moglie di Abdullah che sottomette la propria vita alla guerra armata: "A me interessava capire questo senso di appartenenza che Nur ha prima di diventare foreign fighter e trovare quelle motivazioni che portano tutti i foreign fighters a non appartenere a niente o comunque ad avere un conflitto interiore. Era una ricerca che in qualche modo apparteneva anche a me che vengo da due culture diverse e non mi sono mai sentita parte né di una né dell’altra. Volevo capire come inizialmente queste persone decidono di arruolarsi e diventare parte dell'ISIS da una situazione d’incertezza. Però per Nur c'è un grande senso di libertà nel prendere in mano la situazione e forse nella prigionia trova la libertà”.
Anche lei, però, ha dovuto scavare nel personaggio: “In sincerità non ho potuto capire fino in fondo perché Nur ha fatto una decisione così estrema, però credo che quello che il film vuole fare è proprio portare luce su come delle donne con scelte di vita così diverse, possano trovare delle comunioni.”