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Veronica Lake
Nella mia fine, il mio principio: le storie maledette delle grandi star del cinema. Che resteranno per sempre giovani.
Mai sottovalutare un taglio di capelli. Sansone lo sapeva bene: una signora chioma può renderti invincibile (soprattutto se non c’è una Dalila nei paraggi), o determinare la tua fortuna, come nel caso di Veronica Lake.
“Non ho mai fatto fotografie poco vestita: ho solo usato i miei capelli”, dirà di sé l’inventrice di una delle pettinature più iconiche della storia, la “peekaboo bang”, cioè quell’onda a schiaffo che – coprendole metà viso e celandole un leggero strabismo – le regalerà il mito della femme fatale. Consacrandola alla leggenda, e alla rovina. Ma prima di quell’onda anomala, c’è una ragazza di Brooklyn, nata mentre ruggiscono gli anni ’20.
In realtà il suo vero nome è Constance Frances Marie Ockle, e la dimestichezza con il dramma bussa nella sua esistenza molto presto. Nel 1932, quando ha 10 anni, il padre – che lavora su una petroliera – muore in un’esplosione. La madre si risposa con un amico di famiglia, e per Constance iniziano i traslochi, scanditi da iscrizioni in rigide scuole cattoliche e poi un liceo in cui le viene diagnosticata, per la prima volta, una probabile forma di schizofrenia.
“Per dirsi civile la nostra società dovrebbe accettare la follia così come accetta la ragione” dirà molti anni dopo Franco Basaglia, ma al momento il disturbo psicotico è ben lontano dall’essere studiato, compreso e accettato. La famiglia fa finta di nulla: questa bellissima ragazza starà bene, ha solo un problema con la sua emotività, pensano i genitori. Così la madre la iscrive a un’accademia per attori di Beverly Hills: recitare la aiuterà a gestire le sue ansie. E Constance è davvero brava.
Dopo piccole parti in alcune produzioni, nel 1941 Hollywood la trasforma in una star con I cavalieri del cielo, e le cambia identità: diventa Veronica Lake per quegli occhi che a un produttore ricordano un lago azzurro, calmo e limpido. Ma di calmo, questa ragazza elettrica di 19 anni, non ha niente. Più macina successi cinematografici, più nessuno vuole lavorare con lei. Mentre il mondo sospira vedendola calpestare cuori in coppia con Alan Ladd (la Paramount li ha uniti perché Alan è l'unico attore abbastanza basso da recitare al fianco della Lake, alta un metro e cinquanta centimetri), negli studios la chiamano "the bitch”.
Dicono che è squilibrata e viziata, alcolizzata e paranoica. Veronica è semplicemente malata, ma quando non esistono ancora le parole per comprendere ciò che ti succede, è più facile che il mondo ti addossi la colpa della tua malattia. Intanto, con il sapiente tocco di Edith Head – la donna con più Oscar vinti nella storia del cinema grazie ai suoi costumi – Veronica porta avanti l’inganno di essere una creatura spietata e altissima. Gli abiti di Edith (slip dress che scivolano sul corpo, drappeggi in vita, scollature che vanno a cercarle il cuore) la allungano, e i tacchi sbalorditivi fanno il resto. Si sposa e divorzia (lo farà quattro volte), e ogni volta non è brava a scegliere.
Il secondo marito, il regista André De Toth, la convince a “non perdere tempo con questa sciocchezza della psichiatria” e Veronica inizia a bere. L’alcool le serve per sopire le voci che continuamente le invadono la testa, ma la situazione peggiora. Un attore rifiuta un film in cui la dovrebbe avere nuovamente come partner dicendo che "la vita è troppo corta per girare due film con Veronica Lake". Come se non bastasse, il governo le impone di cambiare look: tutte si pettinano come lei, che va benissimo se devi girare un’oliva in un cocktail, ma se sei un’operaia addetta alla pressa finisce che non ci vedi più, i tuoi capelli vengono mangiati dalle macchine e tu muori come in un film horror.
Dunque, dopo l’ennesimo infortunio capitato a povere disgraziate che sognavano di essere lei, Veronica cede e taglia le sue onde. È la fine della sua carriera. L’ultimo colpo di coda è nel 1946, con La dalia azzurra. Il film piace talmente tanto che diventa l’ossessione anche di Elizabeth Short, l'aspirante attrice che conoscerà una fama mondiale l’anno successivo non per un suo film, ma per la sua fine come Dalia Nera.
Nel frattempo la vita di Lake frana tutta insieme: la Paramount la licenzia, la madre la cita in giudizio per non avere provveduto a lei e il fisco la denuncia per evasione nel 1952. In tutto questo, Veronica ha solo 30 anni e la testa sempre più confusa, la schizofrenia galoppa e le viene impedito di vedere i suoi stessi figli, avuti dai matrimoni precedenti.
Il mondo si scorda di lei fino a quando un giornalista se la ritrova davanti per caso, irriconoscibile, nel bar di un albergo. Veronica è una cameriera con capelli stopposi e denti guasti, ma la fierezza nello sguardo è intatta e lo scoop riaccende l’attenzione su di lei: Marlon Brando le manda un assegno di mille dollari che lei si rifiuta di incassare, preferendo incorniciarlo per mostrarlo ridendo agli amici che la vanno a trovare.
Torna a fare piccole apparizioni in tv, scrive un’autobiografia e nel 1970 finanzia Flesh Feast, un pasticcio horror in cui interpreta una scienziata pazza che crea larve carnivore. Poi, il silenzio fino al 7 luglio del 1973, quando Veronica muore sola, di cirrosi epatica, in un ospedale del Vermont. Ma una piccola vendetta Lake se l’è presa.
Nel 1997 è tornata come fantasma riconquistando gli schermi di tutto il mondo grazie a Kim Basinger che, in L.A. Confidential, ha interpretato una prostituta sua sosia. Basinger ha portato a casa l’Oscar come attrice non protagonista, ma ci ha rimesso i capelli: per platinarsi come lei, se li è completamente bruciati, dovendo ricorrere a parrucche riparatorie. Perché quella biondezza lì, solo Veronica poteva permettersela.