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Alice Rohwracher e Josh O'Connor (foto di Karen Di Paola)
Dal debutto al Festival di Cannes al premio a Telluride, La chimera approda alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Best of. E Alice Rohwracher non vede l’ora che esca in sala, da giovedì 23 novembre distribuito da 01 Distribution: “Ma so già che le vere critiche arriveranno dai tombaroli – scherza la regista – che si sono espressi con severità: hanno detto che c’è una tomba troppo sotto il livello dell’acqua… ho un po’ paura delle critiche degli addetti ai lavori”.
Ambientato nella Tuscia degli anni Ottanta, La chimera si concentra su un gruppo di tombaroli che trafuga reperti etruschi e in particolare su Arthur, un giovane inglese con un dono speciale e il cuore infranto dopo la scomparsa dell’amata Beniamina. “C’è la parte più oscura dell’archeologia – spiega Rohwracher – quella che Fabio Isman chiama ‘predatori dell’arte perduta’. E c’è una frase che mi ha segnato: ‘Sono i morti che danno la vita’. Questa storia mi sembrava il luogo giusto per raccontare l’avvento del materialismo. È un film incantato sul disincanto, su quel momento in cui abbiamo deciso, in maniera feroce e burlesca, che non c’era più spazio per il sacro”.
La chimera chiude un’ideale trilogia sul territorio: “Che in realtà è molto ampio, dal Tirreno all’entroterra umbro. Lo so che molti sperano che io abbia finito di narrare le avventure della Tuscia – ironizza l’autrice – ma credo che nel passato ci sia una radice comune, una memoria involontaria non vissuta che ci riconcilia gli uni con gli altri. Se Le meraviglie raccontava la possibilità di essere famiglia e Lazzaro felice evocava l’uomo buono, La chimera è un film sulla mancanza: i soldi per i tombaroli, l’amore per Arthur, la figlia per la mamma di Beniamina”.
Sempre più in direzione fiabesca: “Era un soggetto spigoloso, la leggerezza era necessaria. È l’incanto che squarcia la realtà per accedere in un’altra dimensione. Ma avevo paura di restare fagocitata dallo schema del viaggio dell’eroe, che oggi va tanto di moda: è piuttosto un viaggio collettivo. Volevo che nei momenti più fragili si rompesse l’identificazione con Arthur: non siamo dentro il film ma davanti. Perciò ho coinvolto la tradizione popolare dei cantastorie, che danno la morale della storia”.
A livello registico non mancano le scelte originali: “Lavorando sul tempo – spiega Rohwracher – mi piaceva esplorare anche l’archeologia del cinema, convocando i supporti che hanno permesso a quest’arte di evolvere e ampliare possibilità narrativa. Per questo ci sono momenti che evocano Buster Keaton”.
Nel ruolo di Arthur, Josh O’Connor, già principe Carlo in The Crown e prossimamente in Challengers di Luca Guadagnino: “È stato mio fratello a farmi scoprire il cinema di Alice: lui di solito vede solo cinecomic, ma mi ha consigliato Lazzaro felice. Ne sono rimasto sconvolto. E ossessionato: ho recuperato Le meraviglie e Corpo celeste, ho scritto lettere ad Alice. Il suo modo di fare cinema è speciale: ti fa sentire in un mondo naturale, che ha creato insieme alla direttrice della fotografia Hélène Louvart, ti fa guardare la realtà attraverso il suo sguardo”. Il suo Arthur, come tutti i personaggi, ha a che fare con l’aldilà: “Sono rimasto affascinato da San Francesco – rivela – non tanto per una somiglianza con Arthur, ma perché ha scritto cose che mi hanno illuminato. Come quella sulla bellezza dell’invisibile, del non comprendere: non capisco l’aldilà, ma è bello avere un atteggiamento ingenuo”.
Isabella Rossellini, celebrata dalla Festa con il premio alla carriera, interpretata la signora Flora, madre di Beniamina: “Ho scoperto Alice tramite sua sorella Alba, che ho conosciuto sul set di un film di Saverio Costanzo, La solitudine dei numeri primi. A un primo livello il film è la storia del commercio dei reperti, ma c’è un livello più poetico e profondo che ha a che fare con la morte, anzi con l’aldilà. Flora è una persona sospesa tra qua e là: mi ricorda Demetra, la divinità che presiedeva la natura, anche per questo amore nei confronti della figlia sottoterra”.
Alba Rohwracher è un personaggio misterioso, Frida: “Con Alice ci siamo divertite ad attingere al codice delle fiabe: Frida (o Spartaco…) non ha niente di psicologico, incarna l’avidità e la brama di ricchezza che affligge l’umanità. Da Le meraviglie in poi stiamo raccontando personaggi sempre più neri e meno empatiche: un modo per stupirci di noi stesse”. Vincenzo Nemolato è il tombarolo Pirro: “Un personaggio virile, pieno di voglia di vivere: la sua forza interiore è credere che i tesori siano stati nascosti dai suoi antenati affinché lui li trovasse offrendogli così la possibilità di cambiare la vita”.
Come di consueto produce la Tempesta di Carlo Cresto Dina: “Per noi è naturale andare dove Alice ci indica: è un grande privilegio e un enorme insegnamento lavorare con un’autrice come lei. I critici di tutto il mondo scrivono che il suo è un cinema che insegna a guardare: è una fortuna poterle stare accanto. Questo film non sarebbe stato possibile senza la generosità di Rai Cinema. E in questi giorni così segnati dalle polemiche mi piace ricordare che abbiamo ricevuto un contributo dal Ministero della Cultura”. Ora l’appuntamento è con gli spettatori: “È un film aereo – dice la regista – che ha bisogno di radicarsi. Abbiamo un pregiudizio negativo nei confronti del pubblico: siamo convinti che voglia una narrazione tradizionale. E invece il pubblico è più avanti: è pronto per forme nuove, ne sono sicura”.