“Così come andiamo a correre anche il nostro sguardo va allenato per averlo quanto più libero e senza pregiudizi. Bisogna rafforzarlo e renderlo capace di scegliere i suoi percorsi e le sue traiettorie”. Parola della regista Alice Rohrwacher in dialogo con mons. Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, sul palco del Cinema Aquilone di Lecco. “Nel nostro lavoro ti capita di andare a tanti festival, ma il Lecco Film Fest è davvero qualcosa di unico. Sentire tutta questa partecipazione è qualcosa che dà grande speranza”, commenta Alice Rohrwacher protagonista della retrospettiva, o meglio dell’introspettiva del festival, e vincitrice del Premio Lucia, conferitole dalla curatrice Angela D’Arrigo.

Nel corso di questa quinta edizione tanti dei suoi lavori (una filmografia composta da pochi titoli, ben studiati e molto premiati soprattutto all’estero) sono stati proiettati sul grande schermo dal suo lungometraggio d’esordio Corpo celeste (2011) al suo ultimo film La chimera (2023).
“Con Davide Milani ci siamo incontrati per Corpo celeste e non ci siamo più lasciati (ndr. nel 2021 ha anche ricevuto il Premio Robert Bresson) - racconta-. Il titolo di quel film viene da un libro di Anna Maria Ortese. Lei si immaginava di stare su un corpo celeste, poi crescendo si rese conto che la terra era già nello spazio. All’inizio voleva essere quasi un doc sull’ insegnamento del catechismo. Non ci ero mai stata e volevo usare questo mezzo per imparare qualcosa che non conoscevo. Poi ho pensato di inventare una storia molto libera e naif in cui una bambina, appena trasferita in Calabria, deve fare la cresima con un prete che ha un po’ perso la fede. È un momento dell’adolescenza in cui si deve decidere a chi si appartiene. Penso sia bello appartenere a qualcosa, e che il nostro viaggio sulla terra non riguardi solo noi come individui, ma anche noi come comunità”.

Alice Rohrwacher e Davide Milani
Alice Rohrwacher e Davide Milani

Alice Rohrwacher e Davide Milani

(Stefano Micozzi)

A proposito delle sue origini racconta: “Non vengo da una famiglia religiosa, ma ho voluto studiare storia delle religioni a Torino. La mia famiglia, che poi si è vista un po’ ne Le meraviglie (2014) ha pensato di costruire un universo a parte e di tagliarci un po’ fuori dal mondo. Tuttavia ho sempre avuto uno sguardo spirituale sulle cose”. E poi: “Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che non mi ha mai chiesto cosa volessi fare. Mi hanno lasciato libera. La loro domanda non era tanto cosa vuoi fare, ma perché sei al mondo”.

Di certo non aveva mai pensato di fare cinema. “All’inizio volevo lavorare nel circo, ma non avevo doti di nessun tipo in questo campo, Quindi pensai di fare un documentario sul circo e nel frattempo avrei imparato a camminare sul filo. Feci questo doc (Un piccolo spettacolo, diario di bordo del circo Soluna, 2005, NdR) con Pier Paolo Giarolo. Lavoravo un po’ in teatro, avevo fatto un corso di drammaturgia, e ho scelto di mettere insieme le cose perché in qualche modo il cinema è un luogo di unione. È come una piazza nella quale c’è la musica, l’umanità, l’immagine e il suo mistero”. Tra i suoi tanti corti (l’ultimo Le pupille candidato all’Oscar 2023) anche Omelia contadina (2020), codiretto con JR, sul tema del rapporto tra la natura, il creato e l’uomo. “Per me quel che è accaduto nella campagna negli ultimi quarant’anni è una bomba atomica. È cambiato tutto e mi sembra incredibile che se ne parli così poco. Da regista voglio stimolare pensieri, ragionamenti e domande. I film per me sono uno strumento e quel corto era necessario. Vivo in Umbria dove si è passati dalla terra intesa come fonte di sostentamento a cava da cui estrarre soldi. È stato un passaggio repentino e io non riuscivo a parlare di altro come i noccioleti intensivi e i pesticidi. Volevo ricordare che non siamo proprietari di tutto. Questo corto è un’omelia funebre dell’agricoltura, un rito in cui gli stessi contadini si seppellivano”.

Sul potere dello sguardo dice: “Prima tutti guardavano la telecamera come se fosse un’arma, perciò ero molto imbarazzata ad averla. Quando tante persone guardano una cosa quella cosa cresce come il sole. Lo sguardo ha un potere nel bene e nel male. E poi ha un peso. È importante capire dove guardare e per questo cerco di fare film dove lo spettatore è libero di farlo. Ci deve anche essere una sorta di pudore. Penso a Berengo Gardin, che è andato a fotografare i manicomi per la prima volta e ha deciso di non fotografare alcune cose. Non per darne una visione edulcorata, ma per non umiliare le persone”.

Alice Rohrwacher
Alice Rohrwacher

Alice Rohrwacher

(Stefano Micozzi)

Con Le meraviglie si apre una trilogia composta anche da Lazzaro felice (2018) e La chimera (2023). “Ero andata a vivere in Germania e, come tutti gli astronauti, mi sono ricordata di come era bella la mia terra e il mio paese. Ho deciso di fare un film, dal titolo Le meraviglie, autobiografico solo per quel che riguarda l’ambientazione. L’ho fatto con grande amore verso una delle persone più importanti della mia vita: mia sorella Alba. Lei è la primogenita. In sintesi: lei spaccava il muro, faceva i buchi e poi io passavo”.

E su Lazzaro felice interpretato dall’esordiente Adriano Tardiolo: “Lui è riuscito a dare al personaggio una grande dimensione di purezza. È un santo pagano, è l’uomo buono, non è un ingenuo. Per me il senso del film non sta nell’evoluzione dell’eroe, ma in tutto quello che accade intorno a lui. Qui il nucleo del personaggio non cambia mai. Lui rappresenta la possibilità di essere buoni e nuovi al mondo”.

E su La chimera racconta: “Qui c’è un filo rosso. Ho voluto risvegliare un simbolo che tutti conosciamo e super abusato e far ritrovare la purezza del vederlo per la prima volta. È anche un film simbolico come quest’asino che vola (ndr. sulla locandina del Lecco Film Fest realizzata da Velasco Vitali). Si fa riferimento alla cultura etrusca. È una storia che si svolge nel 1983 sui tombaroli che rubano i reperti archeologici. Quel gesto racconta un cambiamento dell’essere umano dato che per 2500 anni nessuno ha fatto queste cose”.

Infine conclude: “Il funambulo ci desta stupore, ma in realtà cammina. Quel che lo rende miracoloso è il vuoto. Riuscire a fare un film semplice come una camminata, ma sul vuoto, è quello che spero”.