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Josh O'Connor e Alice Rohrwacher sul set di La chimera - Foto Simona Pampallona
"La mia chimera? Dal punto di vista personale il desiderio è che ognuno di noi possa diventare consapevole che viviamo in un pianeta incredibile, una sorta di paradiso, che invece continuiamo a trasformare in un luogo infernale. Nel lavoro invece ogni mio film rappresenta il desiderio di raggiungere qualcosa che sfugge continuamente, chiedersi che cosa sia l’umanità, ciò che ci rende umani, ciò che ci unisce nonostante le nostre diversità”.
Alice Rohrwacher fa il suo ritorno in gara a Cannes, cinque anni dopo Lazzaro felice (premiato per la sceneggiatura) con La chimera, film incentrato su un gruppo di tombaroli nell’Italia centrale degli anni ’80: di ritorno in una piccola città sul mar Tirreno, Arthur (Josh O’Connor) ritrova la sua sciagurata banda di tombaroli, ladri di corredi etruschi e di meraviglie archeologiche. Arthur ha un dono che mette al servizio della banda: sente il vuoto. Il vuoto della terra nella quale si trovano le vestigia di un mondo passato. Lo stesso vuoto che ha lasciato in lui il ricordo del suo amore perduto, Beniamina. In un viaggio avventuroso tra vivi e morti, tra boschi e città, tra feste e solitudini, si svolgono i destini intrecciati di questi personaggi, tutti alla ricerca della Chimera.
"Ogni volta che realizzo un film – dice ancora la regista – mi sembra sempre una grande occasione per intrecciare legami, per individuare i legami tra le cose, raccontare non le cose ma il rapporto tra le cose. E quello tra uomo e natura è centrale nella mia vita, che in questo caso sfocia nel rapporto con l’invisibile, che secondo me conta tanto quanto il visibile”.
Per Josh O’Connor (era il principe Carlo da giovane in The Crown, lo vedremo presto – a Venezia? – nel nuovo film di Luca Guadagnino, Challengers) “è stata un’avventura, con Alice è stato come ritrovarsi in una famiglia circense. Un’occasione speciale, la mia esperienza cinematografica più singolare, la più unica di tutta la mia carriera: La chimera è un film che amo tantissimo, che mi ha dato anche l’opportunità di lavorare con attori straordinari. Non ho un legame particolarmente stretto con l’archeologia, ma mia nonna lavorava le ceramiche. E grazie al film ho provato stupore genuino quando mi sono ritrovato di fronte ai manufatti creati appositamente per la storia”.
Insieme a Josh O’Connor, nel cast del film troviamo anche Carol Duarte (è Italia, una ragazza brasiliana anche lei proveniente da chissà dove), Vincenzo Nemolato (è Pirro, uno dei tombaroli), Alba Rohrwacher e Isabella Rossellini, la signora Flora, mamma di molte giovani donne tra cui la Beniamina che Arthur continua ad inseguire chissà dove: “Rimango sempre incantata dal talento di Alice, sul set è stato bellissimo perché si sente davvero la vita di Alice e Alba, di come sono cresciute, con il papà apicoltore. Ho molta ammirazione della loro conoscenza della vita contadina, agricola, che grazie a loro viene riportata in superficie”, racconta la grande attrice – recentemente premiata con il David Speciale – che aggiunge: “Ancora oggi ho molta curiosità, voglia di scoprire, cercare nuove porte che si aprono, la possibilità di lavorare con molti talenti. Mi ritengo davvero fortunata”.
Poi Alice Rohrwacher torna sulla genesi del film: “Fin da piccola nella nostra regione sentivamo raccontare di questi ‘maledetti’ tombaroli che andavano in giro di notte e la mia impressione più grande non era tanto pensare a questa attività contro la legge dei vivi, ma soprattutto contro la legge dei morti, la legge della notte, dell’invisibile. Com’è possibile, mi chiedevo, che dopo 2-3mila anni alcune persone sentano l’autorità di poter trafugare queste cose? Forse perché non vedono più la sacralità di quegli oggetti, come se si fossero staccati da quel passato. Da quello che hanno lasciato gli etruschi ci immaginiamo che l’uomo facesse parte di un sistema, non che fosse protagonista di un sistema, con arabeschi profondi che legano l’elemento umano a quello della natura, e quando questo legame si spezza ci si ritrova soli”.
Ma non è un film nostalgico, La chimera: “Non mi sento nostalgica, ho raccontato un personaggio che incarna la nostalgia, che sente il vuoto, il vuoto di un amore, ed è il personaggio nostalgico per eccellenza. Non ho sentito però il desiderio di tornare al passato, piuttosto un desiderio ironico di guardare al passato in maniera viva, né celebrativa né contrassegnata dall’oblio. Nel film c’è questo luogo, questo nucleo di speranza, nella costruzione del mondo che poi compie il personaggio di Italia (la comune femminista dentro una stazione abbandonata, ndr), un’attitudine diversa nella costruzione delle cose. Sono molto curiosa del futuro e felice di essere nel presente”, dice ancora Alice Rohrwacher.
Che ragiona anche sulla questione relativa al suo sguardo unico, e riconoscibile: “Volevo fare un film libero, perché credo che in questo momento con tutte queste catene imposte alla narrazione, il cinema debba invece liberare, non deve preoccuparsi dei cosiddetti ‘ganci’ di cui si parla per le piattaforme. Il cinema non ha ganci, è sganciato e in questa terra di libertà che è il cinema ho immaginato una storia molto locale – che diciamo non fa impazzire i produttori sulla carta… – però avevo bisogno dello Straniero, anche un po’ per omaggiare il Grand Tour, la fascinazione degli uomini del nord per il Mediterraneo e le sue antichità. Arthur è un uomo che non ha radici, non sappiamo nulla di lui, ma cerca la sua radice, che è Beniamina. E quindi ho pensato che questa fusione tra un uomo così e un gruppo di uomini, i tombaroli, così attaccati alla propria terra, potesse creare una buona alchimia”.
E sull’aspetto immaginifico, anche affidato alla tradizione orale e dei cantastorie nel film, la regista spiega: “Il personaggio incarnato da Isabella Rossellini, ad esempio, crede nelle storie, e questo fa sì che queste storie diventino vere. Naturalmente Arthur sa che è anche una storia, però è preda di questo incanto, incanto che la madre di Beniamina emana. E che lo costringe quasi a cercarla ovunque. Quello che mi interessava era sì raccontare una realtà mistica, ma in maniera poco realistica: è sempre una questione di innocenza e se c’è innocenza nel modo in cui si raccontano anche storie incredibili, io a quelle storie finisco per crederci”.
L’altra storia, che ormai però è consuetudine, dopo Le meraviglie e Lazzaro felice, è la presenza in concorso a Cannes: “Sono sempre felicissima, emozionata di essere qui a Cannes, ma quando si presenta ad una platea così vasta, internazionale, un lavoro che è durato anni c’è sempre un momento di sano panico, sano terrore, gioia e terrore. Però sono accompagnata da persone che amo profondamente, attori che stimo in una maniera incredibile. E sono davvero onorata di essere in gara con maestri come Bellocchio e Moretti, ma penso anche a Ken Loach e Aki Kaurismaki. Sono tutte persone che hanno alimentato la mia libertà di sguardo e continuano a farlo”.
Prodotto come sempre da tempesta di Carlo Cresto-Dina con Rai Cinema, in coproduzione con Ad Vitam Production e Amka Films Productions, La chimera uscirà prossimamente nelle sale italiane (verosimilmente in autunno) con 01 distribution.
Nel frattempo, su MUBI è sempre disponibile l’intera retrospettiva sulla regista, In cerca della meraviglia.