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Josh O'Connor e Alice Rohrwacher sul set di La chimera
C’è chi nel cinema, come nella vita, decide di seguire alla lettera le regole senza metterle in discussione, e c’è chi invece, come Alice Rohrwacher, riesce a mantenere una libertà espressiva totale, reinventando un set di norme valide per lei e per la famiglia artistica che crea intorno a sé ad ogni progetto, funzionali a ciò che desidera raccontare e non a ciò che insegna (o impone) la consuetudine filmica – men che meno l’industria dell’audiovisivo. Il che non significa mancare di rispetto, o di rigore: significa assecondare i propri istinti e il flusso narrativo che appartiene intrinsecamente ad ogni storia, incanalandoli secondo una conoscenza approfondita delle tecniche di sceneggiatura, di regia, di montaggio, di osservazione documentaria del reale, apprese in anni di studio e di preparazione.
Alla base c’è un’educazione sui generis, che deriva ad Alice Rohrwacher, e a sua sorella maggiore Alba, da genitori poco convenzionali e da un’infanzia e un’adolescenza vissute in mezzo alla campagna umbra: padre tedesco apicultore, madre insegnante, niente televisione ma tanti libri e tanto tempo a disposizione per immaginare e per mantenere vivo il rapporto con l’ambiente e con tutti gli esseri viventi. Un imprinting che traspare nel modo in cui Alice Rohrwacher racconta i suoi personaggi ai margini e la loro interazione con un paesaggio che non è mai secondario: la periferia urbana calabrese di Corpo celeste, la campagna umbra e toscana di Le meraviglie, il parco laziale dell’Inviolata di Lazzaro felice, la Tuscia de La Chimera.
Ciò che fa la differenza è soprattutto il modo in cui i suoi personaggi si muovono all’interno di questi paesaggi, e soprattutto il modo in cui li segue la cinepresa di Rohrwacher, indossata dalla regista in un costante e amorevole corpo a corpo, coadiuvata dalla direttrice della fotografia francese Hélène Louvart che è con lei fin dal primo lungometraggio. Rohrwacher asseconda il peregrinare dei suoi protagonisti e di tutte le comparse, segue i loro inciampi e le loro esitazioni, aumenta il passo in corrispondenza dell’accelerare del loro battito del cuore. E accorda il tempo necessario affinché possano compiere i loro percorsi: Lazzaro cammina lungo il crinale della collina per un tempo cinematografico infinito, Arthur deambula senza meta lungo i lati della baraccopoli ai margini della cittadina, con la cinepresa che non si stanca di star loro dietro. Queste peregrinazioni apparentemente casuali sono le lunghe rincorse di cui necessita il deltaplano registico di Alice per poi spiccare il volo che trascinerà con sé gli spettatori verso l’alto e l’ignoto, così che possano contemplarne la magia e lo stupore.
Anche la scelta dei formati cinematografici da parte di Rohrwacher è un inno alla sua libertà espressiva: in La chimera, ad esempio, ce ne sono tre - 16mm, super 16 mm e 35mm - e la regista spazia dall’uno all’altro senza soluzione di continuità. Anche la sua regia nella seconda stagione della serie L’amica geniale rompeva con le regole estetiche (e in parte anche etiche) stabilite dallo showrunner e “cognato” Saverio Costanzo: allarga al mare, si incunea nei vicoli della periferia napoletana, si muove elastica e irrequieta sperimentando la stessa libertà di cui si inebriano Lenù durante la sua prima vera vacanza e Lila nel corso del suo primo innamoramento.
È libero anche il casting di Alice, che sceglie volti sconosciuti - da Yle Vianello in Corpo celeste a Maria Alexandra Lungu in Le meraviglie ad Adriano Tardiolo in Lazzaro Felice alle bambine del corto Le pupille - e li accosta a volti noti come Renato Carpentieri, Anita Caprioli, Monica Bellucci, Nicoletta Braschi, Sergi López, Valeria Bruni Tedeschi, Isabella Rossellini, Carol Duarte o Josh O’Connor, per citare solo qualche nome, nonché alla sorella Alba, sempre presente da Le meraviglie in poi, anche se in ruoli inediti e inaspettati. Con loro, e con i tanti non-attori che popolano i suoi film, Alice costruisce comunità di intenti, azzera differenze e incoraggia sintonie, per liberare quelle energie creative che non si preoccuperà affatto di imbrigliare, casomai di incanalarle verso un comune obiettivo. Perché sia chiaro: Alice Rohrwacher sa sempre perfettamente dove andare a parare, anche se è disposta ad arrivarci per sentieri tortuosi.
Infine la scelta del suo produttore è un ennesimo segno di libertà creativa. Carlo Cresto-Dina con la sua “Tempesta” è il perfetto alleato per Rohrwacher, perché fa con lei ciò che lei fa con i suoi attori: le dà sostegno, spazio e fiducia, nella consapevolezza che quando hai a che fare con un purosangue non ha senso tirare le briglia o imporre i paraocchi. Basta rimuovere gli ostacoli lungo il percorso e lasciare che faccia la sua corsa, liberamente.