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The Holdovers - @2023 Focus Features LLC.
Ogni regista ha un suo mondo riconoscibile. Alcuni sostengono che i maestri replichino sempre lo stesso film, per non allontanarsi troppo da ciò che conoscono meglio. In parte è vero. O scelgono due o tre strade da percorrere continuamente. Per Alexander Payne lo spartiacque è Election del 1999. Anche qui una scuola, un insegnante, proprio come in The Holdovers – Lezioni di vita. Matthew Broderick lavora in una high school del Nebraska (luogo caro a Payne), ha una vita sentimentale burrascosa, e si mette a sabotare i sogni di gloria di una studentessa che ha rovinato un suo amico. In questa vicenda ci sono tutti gli elementi cardine della poetica di Payne: il sorriso a denti stretti, i sogni infranti, la periferia degli Stati Uniti, il crollo dell’essere umano, il fallimento delle passioni. Con il tempo il cineasta di Omaha ha poi trovato una soluzione all’oscurità: il viaggio, lo spirito alla Kerouac che permette di riscoprire sé stessi. Oggi è uno degli apripista dell’indie d’oltreoceano, nonostante non gli dispiaccia flirtare col sistema, con la Hollywood dei grandi.
L’ironia amara
Il genere che Payne predilige è quello della commedia nera. Lo humour graffiante lo ha sempre caratterizzato, fin dal suo saggio di diploma. Era un mediometraggio di cinquanta minuti scarsi: La passione di Martin, dove raccontava di un fotografo con un’ossessione, decifrare la verità delle emozioni. Fin dalle prime inquadrature, quella di Payne è stata una questione di sguardo. I suoi protagonisti sono cinici, spesso gretti. Ma nonostante la tragedia, non si discosta mai dalla leggerezza. In La storia di Ruth, donna americana, Laura Dern sniffa colla, ha precedenti penali, e resta incinta per la quinta volta. Ma a essere geniale in realtà è l’incipit di Nebraska: un uomo non più giovanissimo riceve una lettera ingannevole, in cui gli si dice di aver vinto alla lotteria un milione di dollari. Lui decide di partire dal Montana per arrivare in Nebraska, e riscuotere. Una follia, una storia vera, come direbbe Lynch.
L’estetica del perdente, il canto di un’America dimenticata
Payne ama gli antieroi, quelli che stanno sull’orlo di una crisi di nervi. Il professore interpretato da Paul Giamatti in The Holdovers è solo l’ultimo di un lungo elenco. Per citarne qualcuno: Jack Nicholson in A proposito di Schmidt è un vedovo cinico, umorale, pieno di tic; George Clooney in Paradiso amaro perde il suo amore e scopre che lei lo ha sempre tradito con un altro. Payne cerca di dare una speranza ai perdenti, creando un gioco di specchi con il mondo che li circonda. Gli Stati Uniti per Payne non sono quelli delle metropoli. I luoghi sono spesso circoscritti, legati agli elementi naturali: la neve, il sole, la vegetazione. La condanna è alle istituzioni che abbandonano, alle autorità che sono lontane, in universo di solitudine e ingiustizie. Per questo Payne auspica una rifondazione, la nascita di una nuova società. In Downsizing – Vivere alla grande, per risolvere il problema del sovrappopolamento, le persone vengono rimpicciolite e mandate a Leisureland, un ambiente paradisiaco. Fino a prova contraria.
L’on the road
La medicina, il lieto fine: la partenza, che nei film di Payne spesso è l’unica via per scuotersi dall’oblio. È il caso di Sideways – In viaggio con Jack, in cui per combattere la depressione si organizza un tour alcolico con gli amici. Il viaggio nel cinema di Payne però non è mai goliardico, è sempre intimista, ancorato ai tormenti. I dubbi esistenziali aumentano con i chilometri, ma è proprio quando la destinazione è all’orizzonte che spunta l’arcobaleno. Per chi scrive, il suo film più bello, e personale, è Nebraska. Il titolo richiama la terra natia di Payne, e forse non è un caso che proprio qui la paternità abbia il suo valore più alto. Una delizia, in bianco e nero, a cui The Holdovers – Lezioni di vita cerca di avvicinarsi.