PHOTO
Antonio Albanese, foto Karen Di Paola
“Sto lavorando a un personaggio legato alla religione. Un uomo confuso, con una gran voglia di pregare ma che ha un problema: non trova la posizione giusta”. É un Antonio Albanese divertito e divertente quello andato in scena ieri a Venezia, dove ha ricevuto il Premio Famiglia Cristiana alla carriera. Cerimonia sobria, officiata presso l’Italian Pavilion dal direttore del settimanale cattolica Stefano Stimamiglio e dal Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo Davide Milani.
“Il 10 ottobre compirò sessant’anni e mi fa un effetto bruttissimo” ha confessato l’attore e regista lombardo nell’incontro con Eugenio Arcidiacono. Alternando aneddoti personali a quelli legati al suo lavoro: “Il momento più emozionante di Cento domeniche è stato l’incontro con le vittime delle banche: non sono riuscito a dire una parola e sono scoppiato a piangere. Non voglio però demonizzare tutto il sistema bancario per colpa di qualche mela marcia”.
Un registro drammatico che può apparire insolito solo ai più distratti: “Qualunquemente è una delle cose più drammatiche abbia mai fatto. Ma far ridere resta la cosa più difficile da fare”. Soprattutto di fronte a una realtà che non ci fa mancare nulla quanto a grottesco: “Leggo delle cose che non sembrano possibili. È incredibile. Oggi assistiamo a una risacca strana e a conflitti di interesse enormi”. Bisognerebbe tornare all’istruzione: “I genitori dovrebbero aiutare di più la scuola”. Quanto a cinema e tv serve che ridicolizzino “gli ignoranti, quanti si arricchiscono in modo disonesto. Era quello che intendevo fare con I topi”.
Albanese confessa di non amare troppo i social: “Il mio rapporto con il cellulare è come quello del piastrellista per la piastrella”. È spassoso quando racconta di avere scoperto l’esistenza di un falso account che si spaccia per lui e non c’è modo di fermarlo: “Ero in taxi e a un certo punto il tassista si dichiara d’accordo con me sul mio ultimo stato: ma quale stato, scusi?, gli faccio”.
A Venezia torna spesso ma la prima volta non si dimentica: “Trent’anni fa con Vesna va veloce di Carlo Mazzacurati”. Un pensiero anche al successo della collega Paola Cortellesi “che ha fatto un film che sognava da tempo, con un bel gruppo di lavoro e al momento giusto. Se c’è un insegnamento da trarre è che bisogna fare attenzione a come si combinano i vari elementi di un progetto con il momento storico in cui farlo uscire. Il film di Paola colpisce al cuore in un momento preciso”.