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Otar Iosseliani, credits Webphoto
È morto a 89 anni il regista e sceneggiatore georgiano, naturalizzato francese, Otar Iosseliani. È stato un osservatore lucido dei comportamenti umani, che ha descritto con l’occhio del matematico e la leggerezza del musicista. Matematica e musica sono due della passioni che segneranno la vita di Iosseliani fin dalla giovinezza.
Come scrive Altiero Scicchitano sulla voce della Treccani dedicata al regista, “I suoi film rifiutano apertamente la trama romanzesca e la psicologia, per interessarsi unicamente alle azioni di personaggi osservati a distanza da una macchina da presa in costante movimento e sempre pronta ad abbandonarli per seguire un altro evento, e un altro ancora. Il montaggio secco elimina il tessuto connettivo tra i piani-sequenza e spezza la continuità narrativa, reputata menzognera. Per Iosseliani conta solo la realtà fenomenica, intesa come descrizione degli atti e delle loro conseguenze, e non i moventi, che devono restare oscuri, così come l'educazione impone di non spiare l'intimità dell'altro attraverso il buco della serratura.”
L’altra costante della sua vicenda personale e artistica è stata la censura, quella sovietica, contro cui andrà a sbattere fin dagli esordi.
I primi passi
Nato a Tbilisi il 2 febbraio 1934, Otar Iosseliani ha studiato musica al Conservatorio di Stato, dove si diploma nel 1952 in composizione, direzione d'orchestra e pianoforte. Nel 1953 si trasferisce a Mosca e, abbandonati gli studi di matematica, si iscrive alla scuola di cinema VIGK specializzandosi, nel 1961, in regia. Ancora studente, comincia a lavorare per la Gruziafilm studios di Tbilisi, inizialmente come assistente alla regia, successivamente come montatore. Debutta dietro la macchina da presa con Aprili (1961), pellicola che però non ottiene il visto governativo per le sale. Dopo questa disavventura decide di cambiare mestiere e, per cinque anni, lavora prima in fabbrica, poi sulle navi da carico.
Il ritorno al cinema
Torna al cinema nel 1966 con Caduta delle foglie , che ottiene un grande successo alla 'Semaine de la Critique' di Cannes. Nel 1970 firma C'era una volta un merlo canterino seguito, cinque anni dopo, da Pastorali. Quest'ultima pellicola causa nuove difficoltà al regista cui le autorità vietano ogni ulteriore possibilità di lavoro. Dopo aver realizzato, in patria, dieci cortometraggi e quattro film, nel 1982 decide di trasferirsi in Francia dove, tre anni dopo, gira il suo primo film a colori e uno dei suoi più belli, I favoriti della luna , vincitore del Premio Speciale della Giuria alla Mostra di Venezia, su sceneggiatura di Gérard Brach. Dopo aver fatto parte della giuria al 36° Festival Internazionale del Film di Berlino, nel 1988 realizza un piccolo documentario sull'Italia, Un petit monastère en Toscane , che viene presentato nella sezione 'Eventi' della Mostra di Venezia. Dopo aver ottenuto, nel 1989, il Leone d'Argento a Venezia con Un incendio visto da lontano , nel 1992 gira Caccia alle farfalle . Due anni dopo partecipa al Festival di Locarno con il documentario Seule, Georgie . Gli anni successivi dirige Briganti (1996), presentato in concorso a Venezia, Addio terraferma (1999) - Premio Louis-Delluc e Premio FIPRESCI agli European Film Awards - Lunedì mattina (2002), con il quale ottiene l'Orso d'Argento per il miglior regista, e I giardini d'autunno (2006). Il lungometraggio realizzato nel 2010, Chantrapas , viene selezionato dalla Georgia come candidato per il premio Oscar. Le sue opere sono state raccolte in due retrospettive: nel 2001 al 49° Donostia-San Sebastián Film Festival e, due anni dopo, al 5° Buenos Aires International Festival of Independent Cinema. Nel 2013 riceve il Pardo alla carriera al 66° Festival del Film di Locarno.
![Addio terraferma, credits Webphoto](https://www.cinematografo.it/image-service/version/c:ODNhNjBiN2EtYzVmZC00:YTFhYmIyMjQtNDViNi00/addio-terraferma.webp?f=3x2&q=0.75&w=3840)
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Addio terraferma, credits Webphoto
Il male, il vino, la spiritualità
Al rifiuto della trama e della classica sceneggiatura Iosseliani ha sempre opposto il lavoro meticoloso sullo storyboard, in una concezione geometrica dell’inquadratura. Iosseliani inoltre ha sempre evitato il primo piano, concependolo come una concessione alla psicologia del personaggio, che invece guarda a distanza, per rispettarne l’intimità (e i suoi attori sono spesso non professionisti, presi talvolta dalla cerchia dei suoi amici). Il cinema di Iosseliani è abitato da una serena disperazione, nella consapevolezza che l’universo e dunque la vita sono, per la terza legge della termodinamica, destinati a finire. Lo colpisce la capacità autolesionistica dell’uomo ad accelerare questo processo con una straordinaria capacità di farsi e commettere il male. Mentre i piccoli piaceri della vita, come il vino rosso – un marchio di fabbrica dei suoi film – rappresentano, oltre che l’escamotage contro l’infelicità, qualcosa di spirituale.