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Isa Barzizza e Totò in Le sei mogli di Barbablù (Webphoto)
Era, forse, l’ultima testimone di un’epoca, Isa Barzizza, morta a 93 anni il 28 maggio a Palau, cittadina della Sardegna dove si era serenamente ritirata da oltre quarant’anni. L’epoca del teatro di varietà, della rivista, del cinema comico, della televisione delle origini. Dello spettacolo del dopoguerra, insomma, che Barzizza ha illuminato con talento e allegria.
Natali sanremesi, papà importante (Pippo, leggendario direttore d’orchestra, tra i pionieri dello swing e del jazz in Italia, compositore di musica leggera e colonne sonore), Luisita detta Isa Barzizza, classe 1927, debutta contro il volere paterno, che però ben presto deve ricredersi e accettare lo spirito della figlia. Che, splendida ventenne, si dimostra subito soubrette spigliata e ironica: se ne accorge Erminio Macario, suo capocomico e pigmalione, che la vuole in compagnia nei teatri di tutto il Paese.
L’incontro fondamentale, tuttavia, è quello con Totò, con cui fa coppia prima sul palcoscenico e poi sul grande schermo. A teatro fanno coppia in molte riviste, compresa Bada che ti mangio (1949) in cui nasce l’indimenticabile gag del vagone letto, sulla carta di sette minuti e che via via si allunga fino ai tre quarti d’ora. Sketch memorabile, con Totò e Barzizza affiancati da Mario Castellani, ed eternato da Totò a colori di Steno (1952), secondo lungometraggio a colori dopo Mater Dei (1950).
Barzizza esordisce al cinema proprio con Totò, con il parodico I due orfanelli di Mario Mattoli (1947): è il primo di nove film tuttora amatissimi, tra i quali si ricordano I pompieri di Viggù di Mattoli (1948), Figaro qua, Figaro là di Carlo Ludovico Bragaglia (1950), Sette ore di guai di Vittorio Metz e Marcello Marchesi (1951), Un turco napoletano di Mattoli (1953).
Il suo periodo di massima gloria è proprio la prima metà degli anni Cinquanta: l’attrice è spalla del mentore Macario in Adamo ed Eva di Mattoli (1949), Nino Taranto in Dove sta Zazà? di Giorgio Simonelli (1947), di Carlo Dapporto in Il vedovo allegro di Mattoli (1950), di Tino Scotti in Milano miliardaria di Marino Girolami, Metz e Marchesi (1951). Continua, in parallelo, la carriera teatrale, collaborando con Garinei e Giovannini, si approccia alla prosa con Renato Castellani e frequenta le televisione delle origini con le commedie in diretta.
Un lutto privato (la morte prematura del marito) l’allontana dalle scene: dall’inizio degli anni Sessanta si dedica alla figlia e fonda una società di doppiaggio, che gestisce da amministratrice. Riappare al cinema saltuariamente, dal cammeo dell’ex soubrette che tiene una pensione per artisti in C’eravamo tanto amati di Ettore Scola (1974) alla partecipazione a Il garofano rosso di Luigi Faccini (1976).
Riprende l’attività recitativa negli anni Novanta, con commedie teatrali dirette da Gigi Proietti e Mario Monicelli, fiction di Vittorio Sindoni come Non lasciamoci più (1999-2001) e Butta la luna (2006) e film per la regia di Luca Barbareschi (Ardena, 1997), Antonello Grimaldi (Asini, 1999), Pupi Avati (Una sconfinata giovinezza, 2012), Massimiliano Bruno (Viva l’Italia, 2012), Umberto Carteni (Studio illegale, 2013), Fausto Brizzi (Indovina chi viene a Natale, 2013, suo ultimo credito).