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les revenants
"Quando non ci sarà più posto all'inferno i morti cammineranno sulla terra". Questa la frase culto che George Romero mise in bocca ad uno dei pochi sopravvissuti all'invasione di zombi che all'epoca (con Zombie siamo nel 1979) sbranavano ogni essere umano che capitava loro a tiro. Oggi al Lido, dopo l'accelerazione motoria dei morti che camminano impressa da Zack Snyder in Dawn of the Dead, ma anche da Uwe Boll in House of the Dead, assistiamo al risveglio di migliaia, anzi di milioni di morti nella pellicola di Robin Campillo, presente nella sezione Orizzonti del festival. L'incredibile sta nel fatto che gli ipotetici zombi di Campillo non mordono i viventi, non sono verdastri e soprattutto camminano molto lentamente. Con un incipit al contrario che raggela, grazie all'effetto di paura a cui ci hanno abituato i classici zombi, Les revenants diventa immediatamente oggetto filmico difficilmente identificabile ma assolutamente affascinante. Prova ne è la doppia pista narrativa che segue 'quelli che ritornano' sia dalla parte delle autorità politiche che li vedono come un problema sociale da risolvere, sia dalla parte dei parenti che vedono ritornare fra le loro braccia i cari defunti. Sono proprio i politici ad affermare solennemente che bisogna trovare ai revenants un posto decente nella società, creando immediati spazi di accoglienza e un piano per poterli reinserire nel tessuto sociale. Ma sono anche i familiari dei medesimi a rivolerli tutti per sé. Metafora sul dramma odierno dell'immigrazione e simbologia spicciola a parte, Les revenants è un film che, invece, invita a riflettere sull'inevitabilità della morte e sull'elaborazione e annesso superamento del lutto. Con un ritmo esasperatamente rallentato e una recitazione tutta giocata di sottrazione, Campillo costruisce un personalissimo ritratto sulle intime paure del singolo individuo che non riesce a farsi una ragione della definitiva perdita di un affetto e sulla protervia dell'istituzione che anche dietro l'apparente formalità democratica dell'integrazione del diverso, usa la forza per imporre, senza motivo, le proprio ragioni d'ordine. Il tutto senza far squartare innocenti da sinistri e già sazi di carne umana, morti viventi. E per un debutto al lungometraggio dopo anni di lavoro dietro le quinte sui set di Laurent Cantet, non è poco.