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Michael Caine in Youth - La giovinezza
Se con La grande bellezza si era fatto dei nemici, Youth-La Giovinezza non gli porterà nuovi amici. Fondamentalmente chissenefrega. Paolo Sorrentino piace. Non a tutti, però a molti. E piace per gli stessi motivi per cui gli altri lo detestano. Forte iconismo dei personaggi, sceneggiature che sembrano scritte incollando aforismi, messa in scena pantagruelica, la furbizia napoletana di risolvere tutto con una battuta. Un modo brillante di cavarsi dagli impicci di una pretesa profondità. Del resto questo sostantivo, "profondità", fa venire l'orticaria solo a pensarlo. E' roba - sembra dirci Sorrentino anche stavolta - da sepolcri ammuffiti, da "persone che non hanno gusto". In una parola: da intellettuali. E via un altro sassolina dalla scarpa. Sorrentino è moderno perché non è profondo, fa solo finta di.
Della trama di Youth non si sapeva molto perché non c'era molto da sapere. Due vecchi amici, un compositore in pensione (Michael Caine) e un regista cinematografico (Harvey Keitel) in procinto di girare il suo "film-testamento", si ritrovano come altre volte in un sanatorio svizzero alle pendici delle Alpi, dove trascorreranno qualche giorno di relax prima di tornare a impegni e routine. Chiacchiere, passeggiate, memorie, ore passate ad osservare gli altri. Passatempi da vecchi. Però che sballo questi ospiti: bizzarri, idiosincratici, litigiosi, come l'attore hollywoodiano con l'ego trafitto (Paul Dano), l'alpinista con la faccia da stoccafisso che cerca di conquistare la figlia del compositore (Rachel Weisz), il monaco tibetano pronto a levitare, la coppia matura che non scambia una parola, la ex gloria del cinema passata alla tv (Jane Fonda), Maradona versione bonzo e Miss Universo (Madalina Ghenea). Gravitano tutti attorno alla coppia di magnifici vegliardi che Sorrentino ha il merito di trasformare in attori "sorrentiniani": Caine ricorda Jep Gambardella/Servillo per l'indolenza da flaneur arrivato e l'enorme montatura degli occhiali, mentre Keitel è un mix di cinica leggerezza e ridicola tronfiezza, due caratteristiche riconoscibili nei lavori del regista.
Un sanatorio che sembra uscito dalle pagine della Montagna incantata di Thomas Mann, anzi è lo stesso. Un curioso confronto generazionale. Una riflessione sul tempo e l'età, la vita compresa oggi in rapporto al futuro e al passato. L'arte, la fama e la vanagloria. Tutti temi presenti e non presenti, sventolati e appena abbozzati. Chi trascrivesse i dialoghi si troverebbe alla fine con un elenco di massime e frasi fatte. E' la drammaturgia del profondismo. Un trucco, un effetto scenico. L'illusione di entrare a far parte di qualcosa di serio e importante - di artistico! - e il sollievo di essersi sbagliati. Chi vorrebbe essere considerato importante al giorno d'oggi fino al punto da essere preso sul serio?
Avere intuito questo fa di Sorrentino un autore moderno, amato e detestato. La critica storce il naso? Bene, lui allarga la platea del suo cinema, continuando a vendendogli l'Opera al prezzo di un concerto da stadio. E' pop come lo erano i Queen di Bohemian Rhapsody. Lui e Luca Bigazzi seguitano a costruire cattedrali nel deserto: architetture visive esteriormente ricche, iper-barocche, dentro vuote o quasi. Manierismo fatto stile. Non smettono di cercare la stupefazione di sguardo, rapito dal moto fluido della mdp, dalle sue traiettorie quasi impossibili. Il tutto tenuto insieme dal Tempo. Il tempo musicale, la ritmica della messa in scena. Il repertorio di brani e motivetti al solito fondamentale alla buona riuscita dell'impresa. Il cinema di Sorrentino è anche questo: un enorme e laccato videoclip. Sarebbe persino brutto se non fosse mostruosamente divertente.
Lo stupore ha bisogno dell'ironia perché distrugge ciò che l'altro crea, lasciando che la bolla d'aspettative esploda ogni volta per una battuta, una gag. Parossismo e vanificazione. Fellini soffiato via da Peter Sellers e preso a calci da Monicelli, il regista che si lancia dal balcone. Capita anche qui.
Succede anche che la dedica finale sia per Francesco Rosi. Persino una boutade può essere autentica.