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Young Adult
Charlize Theron ci mette la maschera, Diablo Cody la faccia. O viceversa. Il risultato è in ogni caso Mavis Gary, bella, indipendente, di successo. Una wonderwoman moderna. Una femmina alfa. Oppure: una Young Adult. Realizzata, apparentemente. Perché, a poco a poco, su questo luccicante altare del femminismo, emergono crepe. Bella è bella Marvis. Ma lo è un po' meno sotto il trucco, il peso degli anni e la lente d'ingrandimento del quotidiano. Il suo mattino è un eterno dopo-sbornia. La sorprende ogni giorno stesa a sacco sul letto. E poi c'é il rompicapo delle rughe, delle borse agli occhi, del volto deturpato dal trucco. I capelli scarmigliati, le ciocche che cadono, i vuoti che si lasciano toccare con mano.
Indipendente? Piuttosto, sola. Fatta eccezione - cliché dei cliché - dell'affettività di un volpino, che Mavis adora e dimentica con pari impegno. Gli uomini sul suo letto? Disegnano parabole senza ritorno. Loro non ci riescono, lei nemmeno ci prova. Fine della questione. E il successo è una conquista relativa. Ciascuno se lo attribuisce come può. Lei, il suo, lo definisce così: via da un buco di città (Mercury) e dai suoi bifolchi, per una metropoli (Minneapolis) e un futuro da scrittrice.
Peccato sia diventata la ghost writer di una collana di romanzi per ragazzi che non vende più e viva a Minneapolis, storpiata “Mini Apple”, tradotto: non è la Grande Mela. Su questa distanza misuriamo anche Mavis, che si sente una big ed è invece una mini. Tanto che, pure se continua a vivere guardandosi allo specchio, spifferi d'insoddisfazione passano. Ecco allora la giusta mossa, incommensurabilmente sbagliata: dritti a Mercury a riprendersi il primo amore, Buddy (Patrick Wilson), il ragazzone del liceo che nel frattempo si è sposato e ha messo su famiglia. Più che tornare sui suoi passi, Mavis li ripercorre, puntando sempre e solo su se stessa. E' una cougar patologica e narcisista: non cerca un uomo più giovane ma un passato idealizzato e reiterabile all'infinito.
Young Adult non parla però di nostalgia. Proponendo l'ennesimo esempio di falsa maturazione, Jason Reitman (Thank You For Smoking, Juno e Tra le nuvole) torna a svelare - stavolta al netto di ogni carineria e con un rigore quasi indisponente - l'altra faccia del sogno americano, impresentabile nel caso in questione: quarantenne ributtante a ogni latitudine del cuore, arida, cinica e disperata, Mavis è figlia del post-femminismo, l'esperimento drogato del self made woman, il mito dell'emancipazione affettiva e professionale. Il suo psicodramma, non risolto, forse insolubile, è quello di chi non può più essere quel che vuole (il tempo è passato) e non sa diventare ciò che deve. Né Young né Adult, ibrida nella terra di mezzo: non è un caso se l'unico a capire l'anima mostruosa di Mavis sia un altro freak come lei, Matt (Patton Oswalt), il suo grillo parlante. Inutilmente, perché non meno di Pinocchio, anche Mavis ama raccontarsi storie con cui truccare la realtà. E se quest'ultima non la si può camuffare - come quando Buddy le dice chiaro e tondo che non la vuole tra i piedi - allora la si deve respingere, denigrare, disprezzare.
Facile scorgere dietro questo atroce ritratto di signora la stessa sceneggiatrice, Diablo Cody, ma anche il coinvolgimento della Theron - strepitosa e respingente oltre misura - appare sospetto. In ogni caso la confessione è delle più amare e coraggiose tra quelle portate al cinema negli ultimi anni.
Young Adult non cerca scorciatoie, non imbocca la commedia, non trova maturazione. Il suo percorso è circolare: Mavis, pena l'autodistruzione, è destinata a rimanere uguale a se stessa e a fingere di non avere mai sbagliato. Come le dice Buddy rivedendola dopo tanto tempo lei è "l'unica a non essere cambiata". Pareva un complimento, si rivelerà una condanna.