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Non si può dire che Patty Jenkins non si sia impegnata, non abbia rischiato, per quanto si possa rischiare in un prodotto mainstream pensato per platee globali, ma dopo il grande successo del primo Wonder Woman la regista si è impegnata a migliorare i difetti e a giocare su un terreno meno liscio.
Così Wonder Woman 1984 (on demand da domani, 12 febbraio, dopo varie uscite posticipate) diventa un film, se non bello, sicuramente più interessante.
Come dice il titolo, il film è ambientato negli anni ’80 e Diana (Gal Gadot) se la deve vedere con una pietra capace di esaudire qualunque desiderio.
Ovviamente, a entrarne in possesso è un imprenditore avido e fallito (Pedro Pascal) che riversa la propria rabbia sul mondo, ma non è il solo che dovrà riflettere sul motto “Attento a ciò che desideri”.
Scritto da Jenkins, Geoff Johns e David Callaham, Wonder Woman 1984 prova a impostare quello che potrebbe essere il definitivo tono del DC Universe, cercando il giusto equilibrio tra un’emotività più corposa, anche dolorosa, ma più colorata, più vitale rispetto ai nolanismi di Snyder o alle fallite pagliacciate di Whedon.
Wonder Woman 1984Sicuramente gli anni ’80 aiutano, anche perché, sebbene la loro parodia estetica è ormai vieta, la regista con l’aiuto di costumi, scene e fotografia sa darne una versione non del tutto banale, cercando di rifarsi direttamente al cinema Amblin, quello di Spielberg, Zemeckis e Dante, tanto nel percorso narrativo vicino ai ragazzi, quanto nelle scelte estetiche e tematiche (il bellissimo volo sopra le nuvole, l’apparente eccesso di lieto fine): da un lato il percorso politico di un self made man che pare, ovviamente, l’ennesima satira di Trump (e quindi la degradazione di Reagan), con tutto il discorso su egoismo e altruismo, con il populismo etichettato come lo schema Ponzi della politica e tutta una prima parte che pare la versione fantasy di The Wolf of Wall Street; dall’altro, il cammino di empowering di Barbara Minerva (Kristen Wiig) verso una malintesa forma di femminismo.
Wonder Woman 1984 va a capofitto nella contemporaneità, certo in modo molto evidente, ma anche curioso, perché Jenkins sembra aver lavorato molto sulla personalità, sulla gestione dei personaggi e delle loro emozioni, sul modo di dare conclusione agli archi narrativi dimostrando un tocco e un tono più originali, più calorosi e “accoglienti” rispetto alla media di prodotti simili, e al modo maschile di intenderli.
E anche dal punto di vista dell’azione è meglio concepito e realizzato rispetto al primo film: certo, le caratterizzazioni di Pascal e Wiig possono innervosire e per un film così 150’ sono sempre un’enormità, ma fa piacere vedere un film di supereroi in cui i personaggi hanno voglia di fare qualcosa oltre a menarsi, di dire qualcosa che non siano piani d’azione o battute da caserma.