PHOTO
Wonder - White Bird (2023)
Chiariamolo subito: com’era intuibile dal trailer, le disavventure scolastiche del piccolo, malformato Auggie, il Wonder campione d’incassi di Stephen Chobsky sono già finite.
Per proseguire la storia, Marc Forster (The Kite Runner, Quantum of Solace, All I See Is You,), sfogliando la stessa graphic novel omonima di Palacio, ribalta (di 180°) l’angolo visuale. Dall’eroe all’antagonista, al centro della neonata saga ci sono ora le titubanze dell’ex bullo Julian (Bryce Gheisar) espulso da scuola, ora adolescente turbolento e spaesato in un altro college.
Mentore del dirozzamento è nonna Sara (Helen Mirren, all’ennesimo ruolo matronale ed esemplare) che piomba da Parigi nella casa americana di figlia e nipote, e inizia a sfogliare l’album dei ricordi e dei traumi: dall’America del 2023 si scivola a Vichy al tempo della Francia collaborazionista, occupata dai nazisti. L’adolescenza spensierata, tra disegni e cinematografo della giovane, boccolosa Sara (Ariella Glaser) è funestata dalla mannaia della persecuzione razziale. La fuga rocambolesca, via fogne, dalla scuola accerchiata dalle SS alle calcagna preludia alla macchia in un casale di campagna. A proteggerla c’è lo storpio schernito dai compagni, futuri bracci armati del regime, dal ciuffo platino e dal cuore buono Julian (Bryce Gheisar). Inutile dire che il nome del ragazzo non è casuale.
Grazie al probo compagno di banco e alla famiglia, Sara, chiusa nel fienile, “lenisce” le tribolazioni per i genitori dispersi con gli immancabili, brillanti disegni, le ripetizioni serali e il cinema immaginato con Julian dentro una torpedo scalcinata (Charlot di Modern Times, le meraviglie di Parigi).
Mentre l’amicizia matura in primo amore e la discriminazione verso gli ebrei si fa persecuzione e strage, Forster cerca una cifra espressiva sincretica ed un’uniformità di ritmo per un film di scivolamenti e rimandi, di allusioni e trasmissioni di sensi: dalla prolessi all’analessi (e ritorno), dalla guerra mondiale al 2023, dal melò e al war movie.
Nelle corrispondenze tra comin’ of age e affresco storico, tra Anna Frank (la carcerazione per sfuggire alla deportazione) e Bastardi senza gloria (la fuga della ragazza scarmigliata nei boschi), prorompono le intenzioni morali della storia: la gentilezza come unico antidoto all’intolleranza, la liberalità come vaccino contro l’ottusità razziale, l’istruzione come senso ultimo dell’esistenza.
Ma se il ritratto delle tribolazioni adolescenziali al tempo del nazismo è accurato, perfino empatico, manca una certa intraprendenza di scrittura annacquata anche da dialoghi piatti, didascalici, sovente telefonati (Mark Bomback firma la sceneggiatura, e se è penna specializzata in script adrenalinici un motivo ci sarà) come una sfiducia di regia forse sotterranea, inconfessabile, ma comunque dirompente sulla significanza visiva delle immagini. Per tacere di certi frangenti di computer grafica arrabattati e perfino veniali.
Così, sui titoli di coda convivono intenzioni pregevoli ed esecuzioni opinabili nell’intonazione educativa (anche se questa mostrata, discussa, ripetuta, reiterata etc.) della storia: l’inclinazione al femminile, il racconto dall’interno dell’insensatezza della persecuzione, dal punto di vista ebreo; lo sprone all'emancipazione femminile; e la ricerca di barlumi di bontà individuale in un mondo piombato allora come ora nella barbarie militare.