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Vi ricordate Mr. Crocodile Dundee, l'eroe australiano puro, rude e ingenuo? Scordatelo, la terra dei canguri non produce solo simili modelli da esportazione. Il suo entroterra sterminato e desertico - l'outback - è popolato da autentici orchi, relegati nel dimenticatoio per non turbare il paradiso dei surfisti e degli escursionisti. A sottrarre al buco nero della memoria questi mostri ci ha pensato Greg McLean, regista, sceneggiatore e produttore di Wolf Creek. Prendendo a piene mani dal decalogo Dogma 95 (nessun set ricostruito, luci e suoni esigui, macchina da presa digitale), ripercorrendo i topoi del genere horror e basandosi sulle figure di Ivan Milat, l'assassino degli autostoppisti, e di altri serial killer aussie, il regista ambienta nel parco nazionale di Wolf Creek un film serrato e crudele, che lavora sull'empatia dello spettatore per poi colpirlo più duramente, sbattendogli in faccia - con sequenze splatter - il destino ineluttabile dei protagonisti, due ragazze inglesi e il loro amico australiano. Pur con qualche passaggio di sceneggiatura palesemente debole e con un cast di secondo ordine, Wolf Creek riesce a utilizzare una forma piana per intridere le immagini di orrore e spazzare via - anche metacinematograficamente - l'Australia dei cataloghi dei tour operator. E - ribadiamo - costringere lo spettatore a sperare in ciò che sa non potrà avvenire.