Da quando esiste il servizio streaming Disney+, la Casa di Topolino l’ha sempre usato come parcheggio per molti suoi brand di successo e acquisiti, come Marvel e Star Wars. Lo stesso vale per la divisione Pixar, che è approdata in piattaforma non solo coi contenuti di catalogo ma soprattutto con serie originali create ad hoc ma sempre spin-off/sequel/prequel di franchise già esistenti, da Up a Cars fino a Zootropolis e così via. Non poteva quindi che saltare subito all’occhio l’arrivo di Win or Lose, il primo prodotto nato e pensato per lo streaming che non nascesse dalla costola di qualcos’altro. Se non del core più puro dello studio d’animazione, ovvero il raccontare una storia di formazione che coinvolgesse quante più fasce d’età possibili e che utilizzasse come strumento e metafora il mondo dello sport, che già abbiamo visto usato di recente al cinema nel personaggio di Riley in Inside Out 2.

L’idea – vincente – è quella di raccontare una partita di softball dal punto di vista dei tanti personaggi coinvolti, uno per ognuno degli 8 episodi previsti settimanalmente a partire dal 19 febbraio, quindi con puntate monografiche.

Da una giocatrice insicura, ad un genitore single che cerca di farcela al meglio, fino all’arbitro che fa di tutto per rimanere imparziale, e così via. Non solo: ognuno di loro si mostra attraverso un’animazione leggermente diversa, per sperimentare e giocare a livello tecnico ed utilizzare un po’ di creatività nel rappresentare, ad esempio, una app di incontri come un videogioco a livelli per conquistare l’amore della propria vita.

Si ripercorre la giornata della gara più importante del torneo e la settimana immediatamente antecedente, provando a capire le motivazioni che hanno spinto le varie personalità coinvolte a comportarsi in un determinato modo, ovviamente impreziosite da doppiatori originali speciali per l’occasione: da Will Forte a Josh Thomson, da Dorien Watson a Izaac Wang, da Orion Tran a Rhea Seehorn e via dicendo.

Se il character design ci lascia un po’ perplessi perché un po’ troppo superato, come hanno ben dimostrato altre aziende ben più indipendenti in circolazione, l’idea stessa di variare l’approccio a seconda del personaggio e provare a stuzzicare la fantasia del pubblico con riferimenti alla cultura pop e a medium d’intrattenimento alternativi che ben conosce, ci sembra invece rilevante da parte degli autori e registi Carrie Hobson e Michael Yates.

© 2024 Disney/Pixar. All Rights Reserved.
© 2024 Disney/Pixar. All Rights Reserved.
WIN OR LOSE - Sweaty blob and Laurie. © 2024 Disney/Pixar. All Rights Reserved. (PIXAR)

C’è un altro aspetto che colpisce rispetto anche alla produzione più recente per lo streaming, che nasceva proprio dal brand di Inside Out, ovvero Dream Productions. La maturità del racconto e come abbracci incredibilmente grandi e piccini, forse come solo in Up avevano saputo fare finora, raccontando due generazioni molto diverse a livello anagrafico. Qui non si vanno ad indagare i dilemmi, dubbi e frustrazioni nel mondo iper-stimolante di oggi solamente dei ragazzi e adolescenti protagonisti, ma anche dei loro genitori che devono barcamenarsi tra tante responsabilità e di adulti non completamente cresciuti. Il linguaggio dell’animazione diviene così funzionale a rappresentare come ci vediamo noi stessi davanti allo specchio - un cavaliere senza macchia e senza paura per proteggerci dagli hater oppure una futura donna in carriera che già da ragazzina sente di avere un business plan chiaro e concreto - e soprattutto come ci vedono gli altri, o come desidereremmo ci vedessero.

L’incomunicabilità tra generazioni in un’epoca storica in cui i mezzi per comunicare sono triplicati -se non di più- rispetto al passato è centrale nella narrazione di Win or Lose. Non è importante che si vinca o si perda, è fondamentale che si trovi un modo per ritrovare un dialogo generazionale e che ci si ricordi un elemento possibile game changer: se solo imparassimo e ci ricordassimo di metterci di più nei panni degli altri, forse potremmo aiutarli e migliorare noi stessi nel processo. E il mondo sarebbe un posto un po’ più equo, tra vincitori e sconfitti.