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White Material
Il pubblico del Lido aveva molto apprezzato 35 Rhums, finito per motivi inspiegabili nel Fuori Concorso. Oggi, a distanza di un anno, la francese Claire Denis torna alla Mostra, stavolta in gara, con White Material (espressione che indica i bianchi che vivono in Africa), indirettamente legato al film precedente ma meno risolto e coinvolgente. Là i legami forti, veri, di una piccola comunità di neri trincerata all'interno di una palazzina/fortino significavano l'ultimo inerme baluardo contro le forze disgregatrici del mondo di fuori; qui la reversibilità tra esterno e interno, dove niente e nessuno è più al sicuro, testimonia che la disgregazione è già in atto. Solo Maria (Isabelle Huppert), una coltrivatrice di caffè fiera e coraggiosa, sembra non accorgersene mentre tutto attorno - siamo nel Camerun dilaniato dalla guerra civile tra governativi e ribelli - dilaga l'inferno. Nè le carovane dei suoi operai in fuga verso luoghi più sicuri, né l'ex marito André (Christopher Lambert), né i primi segnali che la violenza le è ormai entrata in casa, riusciranno a persuaderla ad abbandonare l'Africa. La Denis prosegue sulla rotta interculturale del suo cinema ibrido, divaricato tra Nord e Sud del mondo, antropologico ed epidermico insieme. Al posto del racconto l'indagine - come sempre distaccata ed attenta ai dettagli - che rinuncia al minimalismo e allarga gli orizzonti sulle conseguenze macroscopiche del colonialismo. Più che un traguardo un limite però, perché non sempre lo sguardo "situato", dal di dentro, dell'ex allieva di Jarmush pare il pìù appropriato a cogliere tutte le implicazioni (etnologiche, culturali, storiche e politiche) del soggetto, mentre alcuni personaggi - vedi il figlio fannullone che si reinventa guerriero anticolonialista dal giorno alla notte - sono solo abbozzati. Resta, a tratti, la capacità della Denis di restituire le misteriose complicazioni del reale, mai così intriso d'orrore e bellezza come in Africa, e la prova della Huppert, brava nella parte donchisciottesca dell'occidentale ostinata, incapace di vedere la fine davanti ai suoi occhi perché impegnata a guardare l'avvenire lontano. Troppo lontano.